sabato 26 dicembre 2009

CHI SI SBARAZZA DI DIO NEGA LA VERITA’ DI QUESTO ISTANTE

In un’intervista ad “Avvenire”, il filosofo tedesco Robert Spaemann affronta il rapporto tra fede e ragione. Dalle leggi naturali, che sono sempre l’occasione di uno stupore, al Creatore di cielo e terra: «L’unico che ci può salvare».

Dio ha a che fare con «lo spazio di verità» che l’uomo abita. Mentre oggi il predominio dello scientismo (non la scienza!) mette in oblio la domanda sul Creatore. Il filosofo tedesco Robert Spaemann rispolvera una sana apologetica per affermare che è razionale credere in Dio. Docente emerito alla Ludwig Maximilians Universität di Monaco, Spaemann affronta qui la questione del rapporto tra fede e ragione.
Nel volume La diceria immortale (Cantagalli) lei denuncia l’attuale «atmosfera ateistica». In che senso?
Ludwig Wittgenstein ha scritto: «Una ruota, le cui rotazioni non mettono in movimento nient’altro, non appartiene alla macchina». Così, per la maggioranza della gente la fede in Dio è diventata priva di conseguenze. La scienza naturale non permette la domanda su Dio. Questo non significa che gli scienziati non siano credenti in quanto persone. Non credente è la visione del mondo che chiamiamo scientismo. Essa riduce la realtà allo statuto di un oggetto possibile di scienza. Per esempio, la bellezza di un quadro o la verità di un’affermazione matematica sono ridotte a stati cerebrali. L’interiorità della realtà non è mai oggetto della scienza. Del resto, quest’ultima è nel giusto.
Dove sta l’errore, allora?
È errata l’opinione per cui si conoscerebbe l’interiorità di un essere se si conosce il correlativo materiale di questa interiorità. Wittgenstein scrive che questa è «la grande illusione moderna»: credere che le scienze ci spiegheranno il mondo. Infatti le stesse leggi naturali hanno bisogno di essere spiegate. Esse sono sempre l’occasione di uno stupore, come avvenne con Einstein. Il successo inaudito delle scienze moderne e della tecnica ha posto l’umanità in uno stato di ubriachezza. I progressi delle scienze non permettono un’attenzione sufficiente sul Donatore di tutti i doni. Tale attenzione appare una sorta di lusso che non possiamo più permetterci.
Lei chiede alla Chiesa più incisività sui temi escatologici. Ha scritto: «Il dogma cristiano potrebbe diventare il rifugio dell’umanità dell’uomo». Heidegger diceva che «solo un Dio ci può salvare». È lo stesso Dio?
Un Dio non ci può salvare, soprattutto dalla morte; può farlo solo il Dio unico, creatore di cielo e terra. Nella tradizione la fede in questo Dio è stata sostenuta dalla ragione. Oggi osserviamo l’opposto: la ragione ha cominciato a dubitare di se stessa. Già David Hume, il padre dell’empirismo, scriveva: «Noi non avanziamo un passo oltre noi stessi». Lo scientismo non comprende la ragione come l’organo della verità bensì quale strumento dell’adattamento, spiegabile con la teoria dell’evoluzione.
Nietzsche ha scritto che l’Illuminismo, con la sua volontà di servire la verità, si distrugge da solo se reclama come verità le proprie tesi. Ma una verità non relativa esisterà solo se ci sarà una prospettiva non relativa, ovvero se Dio esiste. Se Dio non esiste, non c’è verità. Questo vale anche per i concetti di libertà e dignità umana. Qualche decina di anni fa lo psicologo Burrhus Skinner ha scritto Oltre la libertà e la dignità. La scienza non conosce concetti simili, ovvero nozioni normative. Essa le comprende solo come oggetti di studio, non quali fonti di un obbligo per gli stessi scienziati. Solo se l’uomo è superiore alla scienza, cioè se è immagine di Dio, può parlare su di essa. Allora la dignità umana diventa qualcosa di diverso da un’illusione.
A Roma lei interverrà su «Il Dio della fede e della filosofia». Oggi spopolano i «nuovi atei» per i quali Dio è irrazionale. Come spiegare che credere in Dio è secondo ragione?
Nietzsche scriveva: «Noi non possiamo sbarazzarci di Dio finchè crediamo ancora nella grammatica». Perché? Perché noi uomini viviamo in uno spazio di verità. Il fatto che ora noi dialoghiamo partendo dal mio libro La diceria immortale è una verità eterna. Se non è un sogno che io parlo con lei, questo colloquio farà sempre parte della realtà. Esso appartiene al passato. Nessuno può annullare il passato, che è una presenza trascorsa. Il futuro è legato indissolubilmente alla presenza. Nessuna gioia vissuta sarà un giorno non sperimentata. Nessun dolore reale sarà un giorno non sofferto. Ma quale sorta di essere è l’essere del passato? Se non ci saranno uomini sulla terra che potranno ricordarsene e il nostro pianeta non esisterà più, noi non possiamo dire che il nostro colloquio non sia avvenuto. Non possiamo pensarlo. Dobbiamo pensare una coscienza assoluta in cui tutto quello che succede viene conservato. Chiamiamo Dio questa coscienza.

giovedì 24 dicembre 2009

Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

La verità è germogliata dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo

Svegliati, o uomo: per te Dio si è fatto uomo. «Svegliati, o tu che dormi, destati dai
morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5, 14). Per te, dico, Dio si è fatto uomo. Saresti
morto per sempre, se egli non fosse nato nel tempo. Non avrebbe liberato dal
peccato la tua natura, se non avesse assunto una natura simile a quella del
peccato. Una perpetua miseria ti avrebbe posseduto, se non fosse stata elargita
questa misericordia. Non avresti riavuto la vita, se egli non si fosse incontrato con
la tua stessa morte. Saresti venuto meno, se non ti avesse soccorso. Saresti perito,
se non fosse venuto. Prepariamoci a celebrare in letizia la venuta della nostra
salvezza, della nostra redenzione; a celebrare il giorno di festa in cui il grande ed
eterno giorno venne dal suo grande ed eterno giorno in questo nostro giorno
temporaneo così breve. Egli è diventato per noi giustizia, santificazione e
redenzione perché, come sta scritto, chi si vanta si vanti nel Signore (cfr. 1 Cor 1,
30-31). La verità è germogliata dalla terra (cfr. Sal 84, 12): nasce dalla Vergine
Cristo, che ha detto: Io sono la verità (cfr. Gv 14, 6). E la giustizia si è affacciata
dal cielo (cfr. Sal 84, 12). L'uomo che crede nel Cristo, nato per noi, non riceve la
salvezza da se stesso, ma da Dio. La verità è germogliata dalla terra, perché «il
Verbo si fece carne» (Gv 1, 14). E la giustizia si è affacciata dal cielo, perché «ogni
buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto» (Gc 1, 17). La verità è germogliata
dalla terra: la carne da Maria. E la giustizia si è affacciata dal cielo, perché l'uomo
non può ricevere nulla se non gli è stato dato dal cielo (cfr. 3, 27). «Giustificati per
la fede, noi siamo in pace con Dio» (Rm 5, 1) perché la giustizia e la pace si sono
baciate (cfr. Sal 84, 11) per il nostro Signore Gesù Cristo, perché la verità è
germogliata dalla terra (cfr. Sal 84, 12). Per mezzo di lui abbiamo l'accesso a
questa grazia in cui ci troviamo e di cui ci vantiamo nella speranza della gloria di
Dio (cfr. Rm 5, 2). Non dice della nostra gloria, ma della gloria di Dio, perché la
giustizia non ci venne da noi, ma si è affacciata dal cielo. Perciò colui che si gloria si
glori nel Signore, non in se stesso. Dal cielo, infatti per la nascita del Signore dalla
Vergine... si fece udire l'inno degli angeli: Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace sulla
terra agli uomini di buona volontà (cfr. Lc 2, 14). Come poté venire la pace sulla
terra, se non perché la verità è germogliata dalla terra, cioè Cristo è nato dalla
carne? Egli è la nostra pace, colui che di due popoli ne ha fatto uno solo (cfr. Ef 2,
14) perché fossimo uomini di buona volontà, legati dolcemente dal vincolo
dell'unità. Rallegriamoci dunque di questa grazia perché nostra gloria sia la
testimonianza della buona coscienza. Non ci gloriamo in noi stessi, ma nel Signore.
E' stato detto: «Sei mia gloria e sollevi il mio capo» (Sal 3, 4): e quale grazia di Dio
più grande ha potuto brillare a noi? Avendo un Figlio unigenito, Dio l'ha fatto figlio
dell'uomo, e così viceversa ha reso il figlio dell'uomo figlio di Dio. Cerca il merito, la
causa, la giustizia di questo, e vedi se trovi mai altro che grazia.

mercoledì 23 dicembre 2009

"Trovato neonato in una stalla - La polizia e i servizi sociali indagano"


BETLEMME, GIUDEA – L'allarme è scattato nelle prime ore del mattino, grazie alla segnalazione di un comune cittadino che aveva scoperto una famiglia  accampata in una stalla.
Al loro arrivo gli agenti di polizia, accompagnati da assistenti sociali, si sono trovati di fronte ad un neonato avvolto  in  uno scialle e depositato in una mangiatoia dalla madre, tale Maria H. di Nazareth, appena quattordicenne. Al tentativo della polizia e degli operatori sociali di far salire la madre e il bambino sui mezzi blindati delle forze dell'ordine, un uomo, successivamente identificato come Giuseppe H. di  Nazareth, ha opposto resistenza, spalleggiato da alcuni pastori e tre stranieri presenti sul posto. Sia Giuseppe H. che i tre stranieri, risultati sprovvisti di documenti di identificazione e permesso di soggiorno, sono stati tratti in arresto.continua

 

L’albero di Natale? Cristiano, non pagano
«Se oggi interroghiamo un cristiano o un non cristiano sull’origine dell’albero di Natale, nella stragrande maggioranza dei casi riceviamo la risposta che si tratta di un’antica usanza pagana. In effetti tale spiegazione non è del tutto errata. Tuttavia essa non rende giustizia alla situazione di fatto, poiché è vera solo in uno stadio iniziale, non per l’attuale abete decorato».
Così Oscar Cullmann (teologo luterano che fu «osservatore» al Vaticano II) in un passo del librettino All’origine della festa del Natale. Logico partire da questa insospettabile fonte per una «riabilitazione» cattolica dell’abete natalizio in un’epoca nella quale – complice un certo uso «polemico» del presepe – forse non risulta inutile sottolineare con più obiettività i chiaroscuri natalizi.

L’abete «pagano» o «laico», magari «celtico»? Vero, però parziale. Precisa infatti Cullmann: «Solo la primissima forma cristiana è in rapporto con i riti pagani: da un lato col primordiale culto degli alberi, dall’altro con l’antica celebrazione del solstizio d’inverno». In effetti, l’albero è uno dei simboli più ricchi di significati nella storia e nella mitologia di tutti i popoli: immagine naturale di grandiosità e di mistero venerata come immagine o sede degli dei, simbolo della rigenerazione periodica della vita (la latifoglia) ovvero dell’immortalità (il sempreverde), comunque della vita; «asse del mondo» che attraverso le radici fissate al suolo collega la terra al cielo cui protende le chiome (e viceversa unisce il cielo alla terra)...
Persino Joseph Ratzinger, in un testo del 1978, non se ne scandalizzava: «Quasi tutte le usanze prenatalizie hanno la loro radice in parole della Sacra Scrittura. Il popolo dei credenti ha, per così dire, tradotto la Scrittura in qualcosa di visibile... Gli alberi adorni del tempo di Natale non sono altro che il tentativo di tradurre in atto queste parole: il Signore è presente, così sapevano e credevano i nostri antenati; perciò gli alberi gli devono andare incontro, inchinarsi davanti a lui, diventare una lode per il loro Signore».

Dunque nessun problema se l’albero «cattolico» trovasse parentele remote col «frassino cosmico» Yggdrasil della mitologia nordica, dalle cui foglie scende l’idromele (liquido di vita) e ai cui piedi si radunano gli dei per decidere le sorti degli uomini; ovvero con il Kien Mu, l’albero dell’Universo cinese, che ordina il mondo tra sopra e sotto, regno inferiore, umano e celeste; o ancora con Asvattha, l’albero rovesciato dell’India, le cui radici convogliano dalle nubi verso il basso l’energia sacra (dottrina peraltro ripresa in certe leggende ebraiche e islamiche) e in seguito identificato con il Ficus sotto il quale Buddha ricevette l’Illuminazione; per finire con le Americhe, dove si trovano il simbolo azteco di Quetzalcoatl – un cubo aperto su cui crescono 4 grandi alberi cosmici – e l’albero del Paradiso, proprio della mitologia Maya, personificazione del dio della pioggia Tlaloc («Colui che fa germogliare»).
Del resto, dal fascino delle piante non sono certo immuni la Bibbia (a parte l’albero dell’Eden, si ricorda il salmo che canta «Il giusto fiorirà come la palma, si moltiplicherà come il cedro del Libano») né le sofisticate civiltà greca e romana. A Roma, per onorare Attis, era uso ornare con oggetti votivi – cembali, piatti, fiasche – l’abete sacro. In Grecia la medesima essenza era dedicata alla dea lunare Artemide e se ne sventolavano rami con una pigna in punta. L’abete, già: «albero della nascita» per l’antico Egitto, essenza consacrata al compleanno del Fanciullo Divino (il giorno dopo il solstizio d’inverno) nel calendario celtico... «Il legame fra l’albero e il solstizio – scriveva l’esperto Alfredo Cattabiani – è documentato anche nei Paesi scandinavi germanici, nei quali nel medioevo ci si recava nel bosco a tagliare un abete da decorare con ghirlande, uova dipinte, dolciumi».

Viene di qui il nostro albero di Natale? Forse, ma non solo: ancora Cullmann segnala altre coincidenze, come l’uso medievale di appendere ramoscelli in casa d’inverno, oppure la leggenda secondo cui le piante fiorirono alla nascita di Gesù... Tuttavia è lo stesso teologo a prendere le distanze: «II significato cristiano dell’albero di Natale non va fatto derivare dal solstizio d’inverno, che certo è anch’esso in questione, ma solo indirettamente. Esso ha un’origine propria e risale a una tradizione medievale e al suo significato religioso: le rappresentazioni dei "misteri", che nella Santa Notte mettevano in scena davanti al portale delle chiese e delle cattedrali la storia del peccato originale nel paradiso terrestre. Esse sono la vera culla del nostro albero di Natale con la sua decorazione simbolica».

In effetti, nel passato il 24 dicembre portava in calendario i «santi» Adamo ed Eva; era in seguito alla loro felix culpa che era stato inviato il Salvatore. Logico dunque, nei sagrati o anche nelle cattedrali, erigere un «albero del Paradiso» con tanto di mele appese a far da scenario alle sacre rappresentazioni natalizie. «Esso – ancora Cullmann – simboleggia un convincimento cristiano: il peccato dell’uomo viene espiato nella notte del 24 dicembre dall’ingresso di Cristo nel mondo». Una miniatura salisburghese, anno 1489, illustra il messaggio in modo chiarissimo: un albero, la cui chioma è folta di mele e ostie, ha appeso sulla sinistra un crocifisso e sulla destra un teschio; sotto il primo Maria coglie le ostie, presso il secondo Eva distribuisce le mele.

Circa 5 secoli fa, dunque, era già presente il simbolismo oggi surrogato dalle palline natalizie (inventate nel XIX secolo dai soffiatori di vetro dell’Alsazia e della Turingia) ed eventualmente dai biscotti. Ma è solo nel XVII secolo che l’abete – soprattutto in Germania – passa dalle piazze alle case e nel contempo s’arricchisce di altri ornamenti: rose di carta (il fiore dal «virgulto di Jesse»), lamine metalliche, dolci; un albero del genere è documentato nel 1605 a Strasburgo. Di lì a poco fu la luce: dapprima grazie a candeline (la prima notizia documentata in materia è del 1662 ad Hannover), poi con lumi elettrici; e siamo sempre a metà tra gli antichi culti del fuoco praticati nella buia stagione del solstizio e il significato teologico di Cristo luce del mondo.

In Italia l’albero di Natale giunge nell’Ottocento, come dimostra un’immaginetta in cui si vede dietro al Bambino Gesù un abete decorato con candele: soggetto peraltro certamente più raro di quello che raffigura lo stesso Neonato di Betlemme unito alla (o addirittura addormentato sulla) croce, a indicare una trasparente premonizione. Del resto, non sarà ancora un «albero» a diventare il simbolo della Passione? In questo senso, il recupero cristiano dell’abete natalizio compie intero il suo ciclo: infatti, secondo quanto volevano significare pure alcune leggende medievali per le quali la croce era fatta col legno del peccato originale e fu infissa nel cranio di Adamo sepolto sul Calvario, il Natale si unirebbe ancor di più alla Pasqua proprio grazie a una pianta. L’albero di Natale e il crocifisso potrebbero non essere poi così lontani.
Roberto Beretta
Da Avvenire 

domenica 20 dicembre 2009



Uno giorno molto triste per me e per tutti quelli che lo hanno conosciuto: è morto un amico, Pasquale, una persona che sapeva far sorridere tutti.
Sono certo che  saprà far sorridere lassù anche Dio.

lunedì 14 dicembre 2009


Soeur Marie Keyrouz

Suor Marie Keyrouz è nata a Deir El-Ahmar, nei pressi della città romana di Baalbek (Libano), è membro della Congregazione dei Basiliani, presidente e fondatrice dell'Istituto Internazionale di canto sacro: a Parigi ha conseguito un dottorato in musicologia e antropologia teologica alla Sorbona (1991), un diploma di Studi in Scienze Religiose a Saint Joseph University di Beirut.
Cerca di armonizzare le esigenze dell'arte con quelle del sacro.Maronita, incarna le venerabili tradizioni artistiche delle Chiese orientali armonizzandole con quelle occidentali


 

domenica 13 dicembre 2009

L’esigenza etica, di cui ogni persona ragionevole fa esperienza, può trovare spiegazione ultima prescindendo dall’affermazione di Dio?
Prima di proseguire devo sgomberare il campo da un grossolano equivoco che rischia di compromettere tutta la riflessione. Non intendo dire che solo chi ammette l’esistenza di Dio agisce onestamente, mentre gli atei sono sempre dei disonesti. La riflessione prescinde totalmente dal concreto comportamento delle persone. continua
Card. Caffarra: Relazione «Etica laica-etica religiosa» - Diocesi di Genova 
FARE POSTO


"Per me il Natale si riassume solo così: fare posto. Solo facendo posto dentro di noi - nella testa, nel cuore, nella vita - si può celebrare veramente questo giorno. Sono un missionario e da tanti anni emigrante. Insieme ai nostri emigranti che accompagno pastoralmente camminiamo tra tanti altri di differente nazionalità, cultura o religione. Ognuno è una storia diversa di accoglienza e di rifiuto.
Mi domando, a volte, se è possibile comprendere oggi il Natale senza farsi in qualche modo migrante... E questa domanda si fa gigantesca di fronte a un Dio nato in emigrazione, trasformatosi poco dopo in rifugiato, in un fuggiasco, in uno dei perseguitati della terra. Colui a cui tocca far posto alla paura, allo sradicamento, al rifiuto degli altri, come un marinaio in pieno tempesta senza punti di riferimento o di stabilità." continua... in Perfetta Letizia
Come nominare questo Dio oggi, come narrare di Lui comunicando questo Dio vivo all’uomo reale?" Nell’ottica cristiana "Dio è Colui che viene nel mondo e perciò si distingue da esso senza che questo escluda la possibilità di coglierlo come familiare”. Per parlare di Dio "si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso ad abilitare l’uomo a divenirgli familiare. La fede cristiana vive anche dell’esperienza di Dio che si è fatto conoscere e si è reso familiare". È necessario stabilire prima la familiarità con Dio perché Dio sia conosciuto. Allora "Dio è una scoperta, che insegna a vedere tutto con occhi nuovi".
Card. Angelo Scola
“Con Lui o senza di Lui cambia tutto”. Monsignor Rino Fisichella, Presidente della Pontifica Accademia per la vita e Rettore della Pontificia Università Lateranense, ha terminato la sua relazione con il sottotitolo del Convegno internazionale promosso dal Comitato per il progetto culturale della Cei. ... All'interno l'intervento integrale

"Se Dio manca, se si prescinde da Dio, se Dio è assente, manca la bussola per mostrare l’insieme di tutte le relazioni per trovare la strada, l’orientamento dove andare. Dio! Dobbiamo di nuovo portare in questo nostro mondo la realtà di Dio, farlo conoscere e farlo presente."Benedetto XVI

sabato 12 dicembre 2009

ENRICO MEDI (1911-1974)
«Oh voi misteriose galassie, voi mandate luce ma non intendete; voi mandate bagliori di bellezza ma bellezza non possedete; voi avete immensità di grandezza ma grandezza non calcolata. Io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Da voi io prendo la luce e ne faccio scienza, prendo il moto e ne fo sapienza, prendo lo sfavillio dei colori e ne fo poesia; io prendo voi oh stelle nelle mie mani e tremando nell'unità dell'essere mio vi alzo al di sopra di voi stesse e in preghiera vi porgo a quel Creatore che solo per mio mezzo voi stelle potete adorare»

lunedì 30 novembre 2009


 Dopo il referendum svizzero

Minareti, la Ue e il Vaticano: "Colpo alla libertà religiosa" 

La Santa Sede condivide le preoccupazione dei vescovi elvetici, che hanno definito il risultato del referendum "un ostacolo all'integrazione e al rispetto reciproco"


Potrebbe essere lo sfogo di un padre qualunque.
La lettera che qui potete leggere, invece, è del direttore generale della Luiss.
Da la repubblica.it 
"Figlio mio, lascia questo Paese" 

Ethan Hawke e Winona Ryder in una scena del film Giovani, carini e disoccupati

sabato 28 novembre 2009

CACCIARI: RELIGIONE E TEOLOGIA FONDAMENTALI

        CACCIARI: RELIGIONE E TEOLOGIA FONDAMENTALI    «Dovrebbe essere una materia obbligatoria così come la teologia nelle università statali» – intervista di Francesco Dalmas Tratto da Avvenire del 13/08/2009
Massimo Cacciari non ha dubbi. «La nostra tradizione religiosa insegnata obbligatoriamente a scuola. Non solo, la teologia dovrebbe essere presente in tutti i corsi universitari di filosofia »

Il motivo di tanta perentorietà?

Siamo in presenza di un analfabetismo di massa in campo religioso

Dunque lei è per l’obbligatorietà dell’insegnamento, senza se e senza ma.

Non lo dico da oggi: sarebbe civile che in questo Paese si insegnassero nelle scuole i fondamenti elementari della nostra tradizione religiosa. Sarebbe assolutamente necessario battersi perché ci fosse un insegnamento serio di storia della nostra tradizione religiosa. Lo stesso vale per le università; sarebbe ora che fosse permesso lo studio della teologia nei corsi normali di filosofia, esattamente come avviene in Germania.

La religione, dunque, alla pari della lingua italiana o della matematica. Non può essere un optional…

Macché optional. Per me è fondamentale il fatto che non si può essere analfabeti in materia della propria tradizione religiosa. È una questione di cultura, di civiltà. Non si può non sapere cos’è il giudaismo, l’ebraismo, non si può ignorare chi erano Abramo, Isacco e Giacobbe. Bisogna conoscerne la storia della religione, almeno della nostra tradizione religiosa, esattamente com’è conosciuta la storia della filosofia e della letteratura italiana. Ne va dell’educazione, della maturazione anche antropologica dei ragazzi.

A suo avviso non è sufficiente l’insegnamento che oggi viene assicurato?

No. Sappiamo benissimo che ora l’ora di religione non conta come dovrebbe contare, viene presa sottogamba.

Invece?

Vorrei che fosse una materia in cui si studiasse veramente la Bibbia, prendiamo in mano il Vangelo e approfondiamolo come facciamo con l’italiano piuttosto che con la filosofia o il greco o, ancora, il latino.

In cattedra, per l’insegnamento della religione cattolica, non può sedersi chiunque.

Certo, ma con il concorso pubblico, che auspicherei anche per l’insegnamento di questa materia, la Chiesa non correrebbe nessun rischio, perché l’insegnante sarebbe sempre una persona motivata, appassionata, che sente una vocazione per queste materie. Lo dico perché vorrei una Chiesa che si ponesse di fronte allo Stato e dicesse: ‘ Ma non è indecente che nelle nostre scuole non ci sia la religione cattolica? È una materia importante al pari dell’italiano, della storia, dell’arte e della filosofia. Non è indecente che un ragazzo possa uscire dal liceo senza sapere cos’è il Vangelo? E all’università non si dovrebbe poter studiare teologia in modo da poter formare anche un corpo docente in grado di poter insegnare alle scuole medie professionalmente?’.

 

Messaggio della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana in vista della scelta di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nell'anno 2010-2011

L’anno scolastico ha preso avvio da qualche settimana, segnato da cambiamenti e innovazioni finalizzati a tenere il passo con le trasformazioni della società nell’orizzonte europeo e globale.

La Chiesa che è in Italia, consapevole che la scuola è luogo imprescindibile di formazione della persona nella dimensione individuale e sociale, ne segue con attenzione e partecipazione gli sforzi, condividendo le ansie di quanti si adoperano attivamente nel compito educativo. Essa si fa “compagna di viaggio”, dei genitori, dei docenti e degli studenti, cooperando – nelle modalità che le sono proprie – all’educazione integrale delle giovani generazioni.

In particolare, con l’insegnamento della religione cattolica, propone all’interno dell’offerta formativa l’orizzonte di valori provenienti dal ricco patrimonio del cristianesimo, che segna profondamente la cultura occidentale, declinandosi in Italia soprattutto nella forma cattolica. I grandi valori universali della dignità della persona, della pace e della giustizia, le molteplici espressioni dell’arte, della musica e della letteratura, delle feste, degli usi e costumi costituiscono la trama organica della nostra civiltà e resterebbero incomprensibili, se disancorati dalla radice cristiana che li ha generati e dalla figura e dall’opera di Gesù Cristo, che ne è il fondamento. Il Santo Padre Benedetto XVI ci ha ricordato che “grazie all’insegnamento della religione cattolica, la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto ed a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro” (Discorso ai partecipanti all’incontro degli insegnanti di religione cattolica, Roma, 25 aprile 2009).

Sono queste le ragioni che ci inducono a invitare genitori e studenti a scegliere l’insegnamento della religione cattolica, preziosa opportunità culturale che consente anche di confrontarsi con maggiore consapevolezza con altre realtà culturali e religiose presenti oggi nelle nostre città. Esso contribuisce a caratterizzare la scuola come occasione di formazione umana e civile, intessuta nelle dimensioni dello spirito e dell’esperienza religiosa. L’insegnamento della religione cattolica, come disciplina scolastica specifica, muovendo dai grandi interrogativi esistenziali e dal patrimonio storico della cultura italiana, promuove infatti la riflessione sul senso ultimo della vita e apre al confronto con le altre istanze religiose, facendo conoscere l’originalità della risposta religiosa cristiana, senza precludersi al confronto con altri sistemi di significato.

L’esperienza di tanti insegnanti di religione, ai quali va la nostra sincera riconoscenza, testimonia che questo obiettivo è perseguibile. Di ciò è prova anche l’alto livello di adesione da parte di famiglie e studenti provenienti da altri paesi e culture: il dialogo e l’amicizia nata sui banchi di scuola fanno ben sperare quanto al superamento di pregiudizi e incomprensioni che minerebbero le basi della convivenza sociale.

Nel 2009 l’insegnamento della religione cattolica è stato scelto dal 91% delle famiglie e degli alunni della scuola pubblica. Il dato sale al 91,7 %, se si tiene conto anche di quanti frequentano scuole di ispirazione cattolica. Si tratta di un risultato lusinghiero, che attesta la validità della proposta, confermando nel loro proposito quanti hanno deciso di avvalersi di tale insegnamento e provocando positivamente coloro che sono chiamati a sceglierlo per il prossimo anno scolastico.

Roma, 13 novembre 2009
PRESIDENZA DELLA CEI

lunedì 23 novembre 2009

DIO OGGI - L'eclissi dell'infinito
"Se Dio manca, se si prescinde da Dio, se Dio è assente, manca la bussola per mostrare l'insieme di tutte le relazioni per trovare la strada, l'orientamento dove andare...." 
Verso il convegno CEI (Roma, 10-12 dicembre)
Luigi Alici, docente di filosofia morale all'Università di Macerata






brano di Baglioni cantato da Mia Martini.

Gesù ci dissero un giorno che eri
morto, morto per sempre insieme a Dio,
tuo Padre che governa il cielo e il tempo.
Eri morto ci dissero i padri,
morto come muore ogni mito sulla terra..
Così fu il vuoto intorno a noi e dentro noi.
Fu come quando il vento impazzisce e tutto spazza via.
Soli restammo chiusi tra la noia e la paura.
Aggrappati a paradisi artificiali
trovati in una stanza di luce nera..
E così, così ti abbiamo perduto, ti abbiamo aspettato,
ti abbiamo cercato, ti abbiamo aspettato, ti abbiamo cercato,
e abbiamo trovato Te,
ritrovato Te nell’occhio delle stelle, nel sapore del mattino,
fra l’erba tenera dei prati e nel dolore di chi soffre, nel sorriso di chi ama, nella fame di chi ha fame,
nelle canzoni popolari e nella musica di Bach.
E nei sospiri di un amore e nei colori dell’arcobaleno.
E fu come riavere la vista dopomille anni,
fu come scoprire là nella boscaglia folta
il sentiero perduto, il sentiero perduto.
Fu come quando la pioggia in un giorno d’estate ritorna alla Terra,
fu come un giorno di pace,
primo giorno di pace è finita la guerra.
Come salire dal buio e trovare la luce.
Trovare la luce Gesù, caro fratello ritrovato
restami accanto per sempre e cantiamo insieme,
cantiamo insieme la gioia d’esser vivi.
E cantiamo le tue immense parole,
ama il prossimo tuo come
te stesso...
Chi non ha Dio per padrone ne avrà molti altri
(proverbio ebraico)
La saggezza dei secoli ha sempre affermato che l’uomo non è stato mai senza religione, e ciò vale anche per l’occidente secolarizzato.
Un articolo interessante sul grande pensatore Augusto del Noce (1910-2010), a vent'anni dalla morte. 

In God We Trust: quando la religione è un’arma…vincente.

 


Nell'America pluralista il presidente parla alla nazione invocando un unico Dio: ma qual è la "vera religione americana"?

Ogni giorno nel pianeta circolano milioni di biglietti da un dollaro: per comprare il New York Times, un hot dog o pagare un taxi a Panama City. In God We Trust. Chi di voi ricorda questa frase stampata a caratteri cubitali su quella banconota? E chi di voi non ha mai sentito un Presidente degli Stati Uniti pronunciare la frase ‘God bless America’? La politica americana mette in piazza ogni giorno la religione, i suoi valori e i suoi simboli.
Ma sapreste dire di quale religione si parla? Obama è battista, George W. Bush è metodista, suo padre evangelico. Tutti protestanti? No, Kennedy era cattolico. Eppure, parlano tutti di Dio.
Nell’America pluralista, figlia di immigrati e ricca di immigrati, la massima carica dello Stato parla a tutta la Nazione invocando un unico Dio.
Robert Bellah definisce tutto questo religione civile: credenze, simboli e rituali condivisi dalla maggior parte degli americani a prescindere dalla fede di ciascun individuo, da Washington a Obama. E’ come se nella varietà delle religioni, la religione protestante, il cattolicesimo e l’ebraismo abbiano contribuito a creare un comune sentire, che insieme a valori più ‘terreni’ come la responsabilità personale, il senso civico e la coesione della comunità creano una dimensione religiosa trasversale ai gruppi etnici e alle singole denominazioni religiose.
Se qualcuno di voi chiedesse in questo momento agli americani se credono nella religione civile, la stragrande maggioranza di loro negherà la possibilità di aderire a più confessioni contemporaneamente, e soprattutto negherà la possibilità di fare della politica la propria religione.
Ma se leggeste i testi dei discorsi dei Presidenti, o vedeste le mani giunte del pubblico alla convention democratica in cui Barack Obama ha accettato la candidatura alla presidenza, potreste dimostrare il contrario. Gli americani si incontrano nella pubblica piazza e in famiglia, con frequenza periodica, per celebrare eventi della storia nazionale e le persone che hanno dato vita all’ “esperimento americano”, uno tra tutti il Giorno del Ringraziamento. Gli americani dichiarano di credere in un sistema di valori come la libertà e la democrazia, condannando chi non li condivide, come i vecchi regimi comunisti o l’Iraq di Saddam. Questo sistema è istituzionalizzato in un complesso coerente di norme e regole, la Costituzione e le sentenze della Corte Suprema.
Ebbene, quale differenza con una religione?
Questa è la tradizione americana: religione e politica come sfere attive nella sfera pubblica, parti dell’identità del cittadino, che sia esso indiano, afroamericano, ispanico, asiatico. Una società plurale e pluralista che tradizionalmente trova in un comune credo le basi dell’agire politico.
Tradizione e pluralismo. Tradizione è pluralismo.
Il confronto con l’Italia dei giorni nostri viene spontaneo. Il dibattito più recente si è aperto intorno al crocifisso affisso nelle aule delle scuole pubbliche: ci si chiede se il cattolicesimo, per storia e tradizione impiantato nella cultura italiana, possa essere un simbolo anche per tutti i ‘nuovi’ cittadini immigrati, per i credenti in altre religioni, e perché no, per i non credenti.
E’ possibile ammettere che in una società plurale, in cui convivono cerimonie e culti religiosi diversi, il simbolo del cattolicesimo possa essere ancora valido, coesivo, identificativo? E se così non fosse, come mantenere la tradizione pur concedendo la piena libertà di culto ai credenti in altre religioni?
Forse la soluzione è non aver paura. La soluzione è fare del pluralismo, e del pluralismo religioso, una carta viva e attiva. La soluzione è non fare del diverso un pericolo, dello straniero un nemico.

Fame: Roma discute, Chicago fa affari

Dal 16 al 18 novembre, i Paesi del mondo sono riuniti a Roma per l'ennesimo summit straordinario convocato dalla Fao sul tema della fame.
Mentre alla Fao si facevano grandi discorsi sulla sicurezza alimentare, mentre il Papa nel suo discorso denunciava lo scandalo della speculazione sui prezzi dei cereali, qualcun altro agiva. Ieri, 16 novembre 2009, il contratto future sul prezzo del grano con scadenza marzo 2010 alla Borsa di Chicago ha guadagnato il 2,90 per cento. Chi ha acquistato questo titolo il 1° ottobre 2009, cinquanta giorni dopo ha ottenuto un rendimento del 18 per cento.  Continua


DIRITTI NEGATI
 I DRAMMI DELLE «BRUCIATE»

 L’UNICO MODO PER RIBELLARMI A MIO MARITO, CHE SI DROGAVA E MI PICCHIAVA »
Hanan è completamente immobilizzata dalle bende che proteggono quel che resta del suo corpo martoriato. Ma riesce a parlare, a farsi capire. Vuole spiegare i motivi del suo gesto. « « Mi picchiavano, mi umiliavano, continuamente. Non ho trovato altro modo per ribellarmi » . Accanto a lei, Hanifa, 20 anni: « Mi sono sposata a sette anni. Mio marito è un tossicodipendente: ha reso la nostra vita un inferno. Gli ho detto che se non avesse smesso, a me non sarebbe rimasta altra scelta che suicidarmi. Non ha smesso e mi sono data fuoco » .
  «MI SONO SPOSATA A DIECI ANNI.
  LA FAMIGLIA HA INIZIATO A TRATTARMI COME UNA SCHIAVA»

 Distesa sul lettino, avvolta in un camice blu, il viso piccolo che spunta da una grossa cuffia protettiva, Reaza Gul, 11 anni, si tormenta la mano fasciata. È solo una bambina, ma ha già conosciuto il peggio. « Avevo dieci anni quando mi sono sposata – racconta –. E subito sono cominciate le botte. I parenti di mio marito hanno iniziato a trattarmi come una schiava: mi minacciavano e mi picchiavano praticamente tutti i giorni. Non c’era nessuno ad aiutarmi. Ero isolata e non sapevo cosa fare. Non mi è sembrato di aver altra scelta che darmi fuoco per uccidermi » .
  « L’ 80 PER CENTO DELLE AFGHANE SONO ANALFABETE: NON CONOSCONO LE LEGGI CHE LE TUTELANO » .
 « Qui abbiamo avuto nove casi di “ khod- soozi”, la pratica, purtroppo piuttosto diffusa in Afghanistan, per cui le donne si danno fuoco per ribellarsi a una situazione insostenibile » . Mohammad Aref Jalali è il medico che cura i casi di “ self- burning” nell’ospedale di Herat ( ovest del Paese). Si aggira tra i letti dove le pazienti giacciono immobilizzate, avvolte nelle bende. « Quest’anno – racconta – abbiamo potuto registrare una leggera flessione nei casi di “ self­burning” rispetto al 2008: qualche donna, dopo gli infiniti maltrattamenti, ha trovato il coraggio di divorziare. Ma l’ 80 per cento delle afghane sono analfabete e non sanno nemmeno dell’esistenza di leggi che consentono di porre fine alla tortura quotidiana cui sono sottoposte. Disperate, si danno fuoco. Quando diventano vittima di violenza domestica, non hanno alcuna rete di protezione intorno a loro. Non sanno cosa fare. E darsi fuoco sembra loro l’unica soluzione possibile » .Da Avvenire 21/11/09
 




Io, musulmana, difendo il crocifisso
di Randa Ghazy
Una giovane scrittrice di origini egiziane interviene nel dibattito sulla contestata decisione di Strasburgo.... continua

Il governo non privatizzi l'acqua

“È un bene comune, un diritto fondamentale dell’umanità: per rispetto alla democrazia l’acqua deve essere di tutti”
Non avrei mai immaginato che il paese di Francesco d’Assisi (Patrono d’Italia) che ha cantato nelle sue Laudi la bellezza di “sorella acqua” diventasse la prima nazione in Europa a privatizzare l’acqua. continua

domenica 22 novembre 2009





LA COSTITUZIONE A SCUOLA

Quella tavola di valori mura della casa comune
GIUSEPPE DALLA TORRE
 Si dibatte in questi giorni, con diverse valutazioni, sull’introduzione nelle scuole italiane di un insegnamento sulla Costituzione e la cittadinanza. Qualcuno teme l’introduzione di una sorta di 'catechismo laico'; altri pensa che sia inutile un insegnamento del genere, in una scuola che è propriamente a servizio della formazione culturale delle più giovani generazioni.
  Al riguardo mi sembra che ci si dovrebbe innanzitutto porre il problema se la scuola sia chiamata solo a formare, quindi a fornire un’istruzione che porti competenze culturali ed anche – in certe scuole – professionali, o debba mirare pure all’educazione della persona.
  Personalmente ritengo che l’educazione non possa essere esclusa dai compiti della scuola; soprattutto l’educazione al vivere sociale, alle ragioni dello stare insieme, ai valori che ci accomunano nonostante le diversità che ci distinguono e ci potrebbero dividere, al perché incombono su tutti i consociati doveri – che la nostra Costituzione all’art. 2 definisce come «inderogabili» – di solidarietà. «L’Italia è fatta, facciamo gli italiani»: così, come noto, Massimo D’Azeglio in relazione al compimento del processo di unificazione nazionale; si tratta di un compito che è stato molto benemeritamente assolto dalla scuola. Ma ognun vede come si tratti di un compito mai conchiuso definitivamente; come ogni nuova generazione debba essere educata alla cittadinanza; ed ancor più come oggi, dinanzi all’imponente fenomeno immigratorio, questo compito appaia necessario ed urgente rispetto ai piccoli immigrati chiamati a divenire cittadini italiani.
Ma educare a quali valori?  Qui il problema diventa più complesso, perché siamo ormai una società pluralista da questo punto di vista. In passato le comunità politiche, in quanto aggregazioni sociali con fini politici i cui membri sono legati da vincoli comuni, hanno trovato il punto di aggregazione nella etnia, nella religione, nell’idea di nazione, in una condivisa ideologia.
  Ma in una società pluralista, dove i fattori comuni sono via via venuti meno, dove trovare il collante che tiene insieme le diversità? E d’altra parte il collante è necessario, pena la disgregazione sociale, il venir meno del senso di appartenenza e l’affievolirsi fino allo scomparire dei vincoli di solidarietà.
  È qui che entra in gioco la Costituzione che, prima di essere l’insieme delle regole fondamentali che organizzano e disciplinano la vita democratica, raccoglie la tavola di valori sulla quale gli italiani hanno convenuto di fondare la propria convivenza. Insomma: i valori costituzionali sono - per usare l’espressione di un pensatore che larga incidenza ha avuto sulla formazione della nostra Carta fondamentale, cioè Maritain – il «credo umano comune» che tiene insieme una società pluralista. Beninteso: la Costituzione si può cambiare. Ma fin tanto che non viene modificata, con l’apporto di tutti, rimane come le mura della casa comune, all’interno delle quali – ma non contro le quali – le diversità di posizioni sono legittime.
  Dunque, se la scuola è chiamata a educare alla cittadinanza, la scuola di uno Stato democratico e laico qual è il nostro non può che educare ai valori per definizione condivisi, quali sono, appunto, quelli contenuti nella Costituzione. Del resto: se la Costituzione non si insegna a scuola, dove la si imparerà a conoscere? Dovrà rimanere monopolio delle conoscenze dei soli giovani che, specie in Università, affronteranno studi giuridici?
 In uno Stato democratico non si può che educare ai valori condivisi
Avvenire 17/11/2009 

sabato 21 novembre 2009


A chi dà fastidio il Crocifisso?


Mons, Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia ha rilasciato la seguente intervista.
R. - A me pare che si parta da un presupposto che, a mio avviso, è di una debolezza umanistica oltre che religiosa del tutto evidente. Anche perché la laicità non è l’assenza di simboli religiosi, semmai la capacità di accoglierli e di sostenerli. Di fronte al vuoto etico, morale, che spesso noi vediamo anche nei nostri ragazzi, pensare di venire in loro aiuto, come dire, facendo tabula rasa di tutto mi pare davvero miope, anche perché presuppone una concezione di una cultura che è libera solo nella misura in cui non ha nulla, o che ha solo ciò che resta sradicato da ogni storia, da ogni tradizione, da ogni patrimonio. Tanto più che le nostre piazze, le nostre strade sono stracolme di Crocefissi. Io non credo ci sia nessuno che pretenda di distruggere i simboli religiosi nelle piazze, nelle strade, nei crocicchi perché ledono la libertà di religione di qualcuno. Preferisco allora quella civiltà mediterranea che vedeva nelle città, e ancora oggi l’abbiamo, la presenza di simboli, di segni di altre religioni. Quando Paolo VI ebbe qualche difficoltà quando si trattò di costruire una moschea a Roma, disse: “E’ un grande segno di civiltà”.

D. - Mons. Paglia esposizione di un Crocefisso in una stanza, in una scuola pubblica può essere considerata un’imposizione?

R. - Io non vedrei questo. Credo che la grande battaglia che noi dobbiamo fare è che la Croce mostra, come dire, l’umiliazione da cui ancora oggi tanti giusti, tanti poveri vengono schiacciati: è un ricordo di cosa accade all’uomo quando la giustizia non viene rispettata e semmai qui emerge un valore di gratuità, quella gratuità di cui tutti abbiamo bisogno a qualsiasi fede apparteniamo. In questo senso, c’è una dimensione anche di peso culturale ed educativo che io credo sia davvero irresponsabile voler cancellare.

D. - Il fatto, eccellenza, che in precedenza c’erano stati altri ricorsi presso i tribunali italiani - rifiutati con l’idea che il Crocefisso non fosse solo un simbolo religioso, ma il simbolo di un’identità culturale - e il fatto che invece poi l’Europa abbia dato spazio a questa richiesta significa che, in futuro, nel più ampio contesto europeo verranno meno certe identità specifiche, che in Italia sono più radicate?

R. - Il Crocefisso è anche, ovviamente, un segno di un’identità. Ma, a mio avviso, è anche un segno di un’universalità di cui abbiamo bisogno: cioè, di un amore che non conosce confini, di un amore che è disposto a dare la propria vita anche per gli altri, persino per i propri nemici. Di questo abbiamo bisogno tutti, ecco perché io in qualche modo lo sosterrei. Mi sta stretta, troppo stretta la polemica condotta in questo modo, perché alla fine il problema è tutto ideologico e nient’affatto storico, concreto e culturale. Ed ecco perché, guardando in maniera ravvicinata, in Italia la cosa è stata abbondantemente superata senza che creasse problemi particolari.
Un grave "no" culturale
di Alberto Campoleoni
....Lasciamo ai giuristi il commento puntuale della sentenza della Corte europea, contro la quale, peraltro, il governo italiano ha già dichiarato di voler ricorrere. Va considerato, però, che l’orientamento espresso da Strasburgo, in realtà, non stupisce più di tanto. Esiste da tempo, in Europa, un orientamento culturale contrario alla religione e al cristianesimo in particolare. Un orientamento laicista diffuso, anche e forse soprattutto all’interno delle Istituzioni europee che individua nelle appartenenze religiose e nella manifestazione dei simboli religiosi un “pericolo” per la società. Ci si fa scudo dei temi della libertà di coscienza e della laicità, appunto, per promuovere, invece, una reale discriminazione.
Non è un caso che, nel 2007, chiudendo la ricerca europea sull’insegnamento della religione nel Continente, promossa dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, con il sostegno della Conferenza episcopale italiana, i delegati delle diverse Chiese europee segnalavano tra l’altro, nel documento finale, la presenza in Europa di un “clima culturale” sfavorevole, preoccupato di relegare la religione nel solo ambito del privato. Questo clima, crediamo, deve preoccupare più dei crocifissi esposti nelle scuole, luoghi peraltro dove dialogo e confronto, cioè i “meccanismi” principali dell’istituzione, sarebbero in grado di neutralizzare anche eventuali improprie imposizioni alle coscienze.
Fonte SIR

A proposito del Crocifisso a scuola ....
"Grande amarezza ma non è scandalo"
di Vittorio MESSORI
video
Web stats powered by www.wstatslive.com

venerdì 20 novembre 2009


MARIO POMILIO

« Paradossalmente fare teologia è l’unico modo, per il cristiano in quanto tale, di fare cultura, d’offrire un contributo autonomo e originale al discorso culturale del proprio tempo » . E aggiungeva: « Ecco come oltre tutto ' fare teologia', coniugare col Vangelo le culture umane o, come vuole la Evangelii nutiandi, raggiungerle e quasi sconvolgerle dal di dentro mediante la forza del Vangelo modificandone i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d’interesse, può rispondere, specie oggi, alle stesse fondamentali esigenze della convivenza civile» (Scritti cristiani). 
Fonte: Avvenire 
Web stats powered by www.wstatslive.com

lunedì 16 novembre 2009

Dio amico degli uomini



Benedetto XVI ha scritto che “nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più”

Forse più che dell’eclissi di Dio si potrebbe parlare di diverse metamorfosi di Dio: da un Dio personale a un Dio impersonale; da un Dio trascendente a un Dio immanente; da un Dio maschile a un Dio femminile. A prescindere, comunque, da queste metamorfosi e dalle difficoltà esistenziali avanzate dall’esperienza del male e dalle difficoltà razionali teorizzate dagli atei professi, Dio non è circoscrivibile dai nostri concetti, dalle nostre rappresentazioni. Se lo comprendessimo, ha scritto S. Agostino, non sarebbe più Dio. Racconta una leggenda medioevale che S. Agostino un giorno passeggiava lungo la spiaggia del mare riflettendo sulla natura di Dio e del mondo. Mentre era assorto nei suoi pensieri vide un bambino che scavava una buca nella sabbia e cercava di riempirla con l’acqua che attingeva dal mare con un secchiello. Al ritorno della sua passeggiata, si accorse che il bambino continuava a versare acqua nella buca. Si fermò, meravigliato, e domandò al bambino: “Ma che cosa fai?” Questi rispose: “Io voglio versare il mare nella mia buca”. “Ma ciò non è possibile - replicò S. Agostino -non vedi che il mare non può entrare nella tua buca?” “Esattamente come Dio non può entrare nella tua piccola mente”, disse il bambino. E, detto questo, sparì.
Dio, dunque, è più grande del cuore dell’uomo (1Gv 3, 20). Ma egli, allo stesso tempo, è amico degli uomini, non è il dio dell’olimpo, lontano dalle gioie e dalle sofferenze degli uomini. È il Dio che ascolta il grido di aiuto del popolo eletto e, quindi, di ogni uomo. È il Dio che in Gesù si è rivelato come padre. È il Dio che si rende presente nei segni sacramentali.
Mons. Ignazio Sanna Arcivescovo di Oristano




venerdì 13 novembre 2009


Omosessuali non si nasce

Non esistono fattori genetici e/o ormonali che impongano ad una persona di agire necessariamente in modo omosessuale.
1) Provare degli impulsi non significa essere costretti ad assecondarli: sia un eterosessuale che un omosessuale sono liberi di non avere relazioni sessuali con un uomo o una donna verso cui sentono attrazione.
2) Quanto agli impulsi, come scrive, per es. J. Nicolosi (Omosessualità maschile, p. 71, cfr. bibliografia), che utilizza numerose ricerche di altri studiosi: «È scientificamente provato che i fattori genetici e ormonali non svolgono un ruolo determinante nello sviluppo dell’omosessualità”. Se ci fosse un gene dell’omosessualità i gemelli omozigoti dovrebbero comportarsi in modo identico, mentre invece ci sono casi di gemelli, uno dei quali è omosessuale, l’altro eterosessuale.
3) Inoltre, se i geni e gli ormoni determinassero in modo invincibile le nostre pulsioni, non sarebbe possibile cambiare le proprie pulsioni omosessuali in pulsioni eterosessuali, come invece dimostra la pratica psicoterapeutica, con numerosissimi esempi (ne parla R. Marchesini in questo dossier).
Non è vero che l’identità maschile/femminile è indotta dalla società

L’odierna teoria del «gender» (genere), (che ha un sua radice prossima in Rousseau ed una remota nello gnosticismo antico) afferma che la nostra identità psicologica maschile o femminile non è legata al sesso con cui nasciamo biologicamente, bensì è indotta dall’educazione e dalla cultura in cui ci troviamo a vivere, perciò ognuno di noi dovrebbe essere lasciato libero di scegliere se vivere e agire come uomo, anche se i suoi organi genitali sono femminili, e come donna, anche se i suoi organi genitali sono maschili.
Se questa visione fosse vera, basterebbe educare in modo assolutamente identico i bambini e le bambine per ottenere che essi scelgano a loro piacimento attività e ruoli maschili o femminili, a seconda dei gusti. Invece un simile modello educativo è stato applicato ed ha dimostrato il contrario. All’inizio del ‘900 fu attuato in alcuni kibbutz israeliani un esperimento, inteso ad educare in modo perfettamente identico ragazzi e ragazze e gli stessi sperimentatori hanno dovuto riconoscere il fallimento del loro tentativo. Infatti, a dispetto dei loro sforzi, i ragazzi sceglievano di occuparsi di macchine, compiti dirigenziali e altre tipiche attività maschile, mentre le ragazze mostravano un’inclinazione verso l’abbigliamento, la cosmesi, i lavori di assistenza, insomma verso le attività e le mansioni femminili (cfr. Manfred Spiro, Gender and culture: kibbutz women revisited, Schocken Books, New York 1980, pp. 92 ss).
E anche «bambini cresciuti […] come bambine da un’onnipotente madre femminilizzante […], amano in cuor loro le cose da ragazzi, anche se il loro comportamento non è proprio da ragazzi». Così come «una ragazza cresciuta con atteggiamenti sprezzanti nei confronti delle cose da donne e del ruolo femminile […] tuttavia può essere impressionata da altre ragazze e donne che irradiano femminilità» (J. Van den Aardweg, Omosessualità e speranza, cfr. bibliografia, p. 82).
Un altro esempio lo riporta R. Marchesini (cfr. www.ildomenicale.it/articolo.asp?id_articolo=330), che racconta la tragica vicenda di David Reimer, un bambino gemello omozigote, a cui fu chirurgicamente cambiato il sesso, perché il chirurgo voleva dimostrare che l’identità di genere è determinata dall’educazione ricevuta. I genitori vestivano ed educavano questo bambino come una bambina, gli attribuirono un nome femminile, in modo che credesse di essere una bambina e si comportasse in tal senso. Eppure David si muoveva e si comportava come un maschietto. Lo sperimentatore tentò in vari modi, anche con violenze psicologiche, di farlo comportare come una bambina, ma inutilmente. In seguito a David fu rivelata la terribile verità e, dopo alcuni anni, nel 2004, si è suicidato.

Fonte: /www.ircbrescia.it
Web stats powered by www.wstatslive.com

martedì 10 novembre 2009


Anglicani che desiderano entrare in piena comunione con la Chiesa Cattolica
Secondo le norme della Costituzione Apostolica, i nuovi Ordinariati personali per gli anglicani che desiderano entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica potranno ammettere al sacerdozio solo uomini celibi. Per quanto riguarda gli ex ministri anglicani sposati, la loro ammissione al sacerdozio sarà decisa caso per caso, come già prevede la normativa canonica. Per quel che riguarda i futuri seminaristi è stato considerato in maniera puramente ipotetica se ci potranno essere alcuni casi in cui una dispensa dalla regola del celibato potrà essere chiesta. Per questo motivo i criteri oggettivi per ognuno di questi possibili casi (ad esempio, seminaristi sposati che si stanno già formando) dovranno essere sviluppati congiuntamente dall'Ordinariato personale e dalla Conferenza episcopale, e presentati per l’approvazione alla Santa Sede.
Costituzione Apostolica "Anglicanorum coetibus"


lunedì 9 novembre 2009

Effetto valanga. Col croficisso via anche le chiese, Bach, Leonardo da Vinci…

La sentenza anti-crocifisso della corte europea dei diritti dell’uomo ha seminato scompiglio nelle scuole italiane.
Ecco qui di seguito come se ne è discusso in un consiglio d’istituto di un non precisato liceo romano. I personaggi:
P: preside,
PA: professore di storia dell’arte,
PM: professore di musica,
PF: professore di filosofia.
*
P: Oggi è venuta a trovarmi la madre di un allievo, un po’ agitata. Mi ha detto che si rifiuta di mandare il figlio a visitare la piazza e la basilica di San Pietro la prossima settimana. Ha sentito della sentenza della corte europea dei diritti dell’uomo sul crocifisso e sostiene che questa visita sarebbe un condizionamento religioso emotivamente troppo forte per un quindicenne.
PA: Me se devo dare il compito in classe sul Bernini!
P: Io però non voglio prendermi esposti, denunce, eccetera. Ho già troppe gatte da pelare!
PA: Ho capito, ma allora dove li porto i ragazzi? Al Pantheon?
P: Magari. E insisti sul fatto che è una prodigiosa dimostrazione del genio architettonico dei romani.
PA: È vero, ma devo pure far cogliere i motivi di continuità con i successivi sviluppi cristiani, dovrò pure dire che nel VII secolo il Pantheon è stato trasformato in una chiesa, Santa Maria ad Martyres.
P: Ci risiamo! Voglio una visita neutrale, non religiosa!
PA: Ma che significa? Qui tutto ricorda il cristianesimo! Allora stiamocene chiusi in aula e lasciamo perdere! E poi i ragazzi avranno pure diritto a essere istruiti, a sapere.
P: Ma il diritto di chi non vuole subire la non richiesta ostensione di simboli religiosi prevale.
PA: Ah sì? E perché non se ne sta a casa lui, allora?
P: Collega, ma cosa dici? Un diritto è un diritto!
PM (interrompe con ansia): Scusami, preside, ma io domani farò ascoltare Bach: la Messa in si minore.
P: Mamma mia, per carità!
PM: Come “per carità”? È un capolavoro sommo!
P: Ma è una Messa!
PM: E che significa? L’sutore non era neppure cattolico!
P: Era protestante. Sempre cristiano era. Scegli qualcosa di più tranquillo, vai sul Novecento, a Stravinskij.
PM: Bene. Farò ascoltare “Sinfonia di Salmi”.
P: Ma sei un fissato! Metti la “Sagra della primavera”, quella sì, è sufficientemente pagana, non disturba nessuno, ci si può fare pure una lezione di antropologia culturale. E comunque, se proprio devi fare un po’ di Bach, non insistere troppo sul cristianesimo.
PM: Ma se scriveva “Soli Deo Gloria” in calce alle sue composizioni!
P: Ma mica siamo al Conservatorio, che importa agli allievi di questi dettagli?
PM: Pensa che volevamo fare col collega di filosofia un’ora interdisciplinare sull’estetica nel pensiero religioso del Novecento, sull’influsso di Bach e Mozart su von Balthasar e…
P (irato): Ma siamo matti! La teologia si fa nell’ora di religione per chi la chiede, e basta! Mi vuoi rovinare?
PF: Preside, ma cosa dici! Posso parlar bene di Agostino, o no?
P: Ma sì, digli che ad Agostino tutto il pensiero moderno deve molto, anche l’ermeneutica, la fenomenologia…
PF: Però non posso dire che era cristiano?
P: Accennalo appena.
PF: Ma che accenno e accenno! Secondo te le “Confessioni” sarebbero state scritte se l’autore non si fosse convertito al cristianesimo? E poi scusa, quando parlo del concetto di persona in filosofia, come evito un accenno al dogma della Trinità e ai primi concili ecumenici? Non esisterebbe il concetto di persona senza…
P: No e poi no! Questo è catechismo! Prudenza ci vuole…
PF: Ma se persino Benedetto Croce….
P: Basta! Colleghi, dobbiamo capire che viviamo in una società multiculturale, dobbiamo rispettare le diversità, non possiamo pretendere…
PA: Ma abbiamo pure il dovere di istruire, di far conoscere. Se gli allievi guardano il Cenacolo di Leonardo, mica gli possiamo dire che era una cena qualunque tra amici!
P: Ma che esempi mi fai? Qualcosa va detto loro, ma con prudenza, con neutralità…
PA: Ma a me il Cenacolo piace tanto, mi appassiona…
P: Troppa passione nell’insegnamento non va bene. Ci vuole anche un po’ di neutralità emotiva.
PF: E allora mettiamoci un automa, sulla cattedra, e cambiamo mestiere! Ma poi, senti, non sarebbe molto più interessante far capire la grandezza filosofica di san Tommaso collegandolo al pensiero musulmano, ad Avicenna… Non cancelliamo né l’uno né l’altro, li studiamo entrambi.
P: Ma ci sono anche gli atei, gli agnostici…
PF: Ma anche loro dove vivono? Se vivono in mezzo a noi, è giusto che conoscano, che vedano le mille chiese nelle strade di Roma, che rappresentano la città, o dobbiamo demolire pure quelle? Quelle non sono per nulla neutrali!
P: Colleghi, sono sfinito. Aggiorniamoci a domani. Magari la notte ci porterà consiglio…
(Dialogo messo per iscritto da Francesco Arzillo, Roma, 4 novembre 2009).


giovedì 5 novembre 2009

LA TENTAZIONE DELL’ATEISMO
C’è una voce in ognuno di noi che ci spinge a dubitare di Dio. "Ecco il senso della fede e la difficoltà di seguirlo sino in fondo" Chi è per me Dio? Fin da ragazzo mi è sempre piaciuta l'invocazione, che mi pare sia di San Francesco d'Assisi, «mio Dio è mio tutto». Mi piaceva perché con Dio intendevo in qualche modo una totalità, una realtà in cui tutto si riassume e tutto trova ragione di essere. Cercavo così di esprimere il mistero ineffabile, a cui nulla si sottrae. Ma vedevo anche Dio più concretamente come il padre di Gesù Cristo, quel Dio che si rende vicino a noi in Gesù nell'eucarestia. Dunque c'era una serie di immagini che in qualche maniera si accavallavano o si sostituivano l'una con l'altra: l'una più misteriosa, attinente a colui che è l'inconoscibile, l'altra più precisa e concreta, che passava per la figura di Gesù. Mi sono reso conto ben presto che parlare di Dio voleva dire affrontare una duplicità, come una contraddizione quasi insuperabile. Quella cioè di pensare a una Realtà sacra inaccessibile, a un Essere profondamente distante, di cui non si può dire il nome, di cui non si sa quasi nulla: e tutto ciò nella certezza che questo Essere è vicino a noi, ci ama, ci cerca, ci vuole, si rivolge a noi con amore compassionevole e perdonante. Tenere insieme queste due cose sembra un po' impossibile, come del resto tenere insieme la giustizia rigorosa e la misericordia infinita di Dio. Noi non scegliamo tra l'una e l'altra, viviamo in bilico (...). Come dice il catechismo della Chiesa cattolica, la dichiarazione «io credo in Dio» è la più importante, la fonte di tutte le altre verità sull'uomo, sul mondo e di tutta la vita di ogni credente in lui. D'altra parte il fatto stesso che si parli di «credere » e non di riconoscere semplicemente la sua esistenza, significa che si tratta concretamente di un atto che non è di semplice conoscenza deduttiva, ma che coinvolge tutto l'uomo in una dedizione personale. Su questo punto, come su tanti altri relativi alla conoscenza di Dio, c'è stata, c'è e ci sarà sempre grande discussione. Per alcuni la realtà di Dio si conosce mediante un semplice ragionamento, per altri sono necessarie anche molte disposizioni del cuore e della persona (...). È dunque possibile conoscere Dio con le sole forze della ragione naturale? Il Concilio Vaticano I lo afferma, e anch'io l'ho sempre ritenuto in obbedienza al Concilio. Ma forse si tratta della ragione naturale concepita in astratto, prima del peccato. Concretamente la nostra natura umana storica, intrisa di deviazioni, ha bisogno di aiuti concreti, che le vengono dati in abbondanza dalla misericordia di Dio. Dunque non è tanto importante la distinzione tra la possibilità di conoscenza naturale e soprannaturale, perché noi conosciamo Dio con una conoscenza che viene e dalla natura, dalla grazia e dallo spirito Santo, che è riversata in noi da Dio stesso. Bisogna dunque accettare di dire a riguardo di Dio alcune cose che possono apparire contraddittorie. Dio è Colui che ci cerca e insieme Colui che si fa cercare. È colui che si rivela e insieme colui che si nasconde. È colui per il quale valgono le parole del salmo «il tuo volto, Signore, io cerco», e tante altre parole della Bibbia, come quelle della sposa del Cantico di Cantici: «Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l'amato del mio cuore; l'ho cercato, ma non l'ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città; per le strade e per le piazze voglio cercare l'amato del mio cuore. L'ho cercato ma non l'ho trovato. Da poco avevo oltrepassato le guardie che fanno la ronda quando trovai l'amato del mio cuore...» (3,1-4). Ma per lui vale anche la parola che lo presenta come il pastore che cerca la pecora smarrita nel deserto, come la donna che spazza la casa per trovare la moneta perduta, come il padre che attende il figlio prodigo e che vorrebbe che tornasse presto. Quindi cerchiamo Dio e siamo cercati da lui. Ma è certamente lui che per primo ci ama, ci cerca, ci rilancia, ci perdona. A questo punto, sollecitati anche dalle parole del Cantico «ho cercato e non l'ho trovato», ci poniamo il problema dell'ateismo o meglio dell'ignoranza su Dio. Nessuno di noi è lontano da tale esperienza: c'è in noi un ateo potenziale che grida e sussurra ogni giorno le sue difficoltà a credere. Su questo principio si fondava l'iniziativa della «Cattedra dei non credenti» che voleva di per sé «porre i non credenti in cattedra» e «ascoltare quanto essi hanno da dirci della loro non conoscenza di Dio». Quando si parla di «credere in Dio» come fa il catechismo della Chiesa cattolica, si ammette espressamente che c'è nella conoscenza di Dio un qualche atto di fiducia e di abbandono. Noi sappiamo bene che non si può costringere nessuno ad avere fiducia. Io posso donare la mia fiducia a un altro ma soltanto se questi mi sa infondere fiducia. E senza fiducia non si vive (...). L'adesione a Dio comporta un'atmosfera generale di fiducia nella giustezza e nella verità della vita, e quindi nella giustezza e nella verità del suo fondamento. [Photo] Come dice Hans Küng «che Dio esista, può essere ammesso, in definitiva, solo in base a una fiducia che affonda le sue radici nella realtà stessa». Molti e diversi sono i modi con cui ci si avvicina al mistero di Dio. La nostra tradizione occidentale ha cercato di comprendere Dio possibilmente anche con una definizione. Lo si è chiamato ad esempio Sommo Bene, Essere Sussistente, Essere Perfettissimo... Non troviamo nessuna di queste denominazioni nella tradizione ebraica. La Bibbia non conosce nomi astratti di Dio, mai ne enumera le opere. Si può affermare che ciò che la Bibbia dice su Dio viene detto anzitutto con dei verbi, non con dei sostantivi. Questi verbi riguardano le grandi opere con cui Dio ha visitato il suo popolo. Sono verbi come creare, promettere, scegliere, eleggere, comandare, guidare, nutrire ecc. Si riferiscono a ciò che Dio ha fatto per il suo popolo. C'è quindi un'esperienza concreta, quella di essere stati aiutati in circostanze difficili, dove l'opera umana sarebbe venuta meno. Questa esperienza cerca la sua ragione ultima e la trova in questo essere misterioso che chiamiamo Dio. D'altra parte ha qualche ragione anche la tradizione occidentale. Infatti tutte le creature hanno ricevuto da Dio tutto ciò che sono e che hanno. Dio solo è in se stesso la pienezza dell'essere e di ogni perfezione, e colui che è senza origine e senza fine. Tuttavia nel mistero cristiano la natura di Dio ci appare gradualmente come avvolta da una luce ancora più misteriosa. Non è una natura semplicemente capace di tenere salda se stessa, di essere indipendente, di non aver bisogno di nessuno. È una realtà che si protende verso l'altro, in cui è più forte la relazione e il dono di sé che non il possedere se stesso. Per questo Gesù sulla croce ci rivela in maniera decisiva l'essere di Dio come essere per altri: è l'essere di Colui che si dona e perdona. Carlo Maria Martini
Corriere, 16 novembre 2007 
Web stats powered by www.wstatslive.com