venerdì 27 febbraio 2009

Soltanto uno studente su 10 non si avvale dell'IRC

Secondo il Servizio nazionale della CEI per l'insegnamento della religione cattolica nel 2007-08 il 91,1% degli studenti ha scelto di avvalersi di quell'insegnamento.

Nella scuola dell'infanzia l'Irc viene scelto dal 94,1% dei genitori, nella primaria dal 94,6% e nella secondaria di I grado dal 92,7%. La situazione negli istituti superiori è un po' diversa, perché la percentuale degli studenti che si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica scende all'84,5%.

Il Servizio della Cei attribuisce questo calo di percentuale tra gli studenti delle superiori a vari fattori, tra cui una vera ora alternativa e un carico orario maggiore.

La presenza di studenti con cittadinanza non italiana, secondo la Cei, è accompagnata da adesioni molto elevate, anche se si registra una costante erosione complessiva. Le regioni del Nord si confermano quelle con il maggior numero di non avvalentesi, ma sono anche quelle dove si concentra il numero più consistente di studenti stranieri.

Il Sud si conferma l'area di gran lunga più legata all'insegnamento della religione cattolica, visto che la percentuale dei non avvalentisi si ferma all'1,7%.

Tra coloro che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica negli istituti superiori quasi la metà (48,1%) sceglie l'uscita da scuola; il 24,8% resta a scuola e sceglie lo studio non assistito. Decisamente minoritarie le scelte "più responsabili", come l'attività didattica e formativa in classe (9,9%) e lo studio assistito (17,2%) che registra - fa notare il Servizio della Cei - un aumento di quasi mezzo punto in percentuale rispetto all'anno precedente.

fonte: http://www.tuttoscuola.com/

giovedì 26 febbraio 2009

SCUOLA/ Ora di religione: un'occasione troppo spesso sprecata...

In risposta al dott. Giovanni Cominelli

Ho letto con attenzione l'articolo pubblicato su ilsussidiario.net, chiarissimo nell'esposizione e altrettanto preciso nel contenuto. Mi sorge, però, il dubbio che il prof. Cominelli legga la realtà della scuola italiana, in particolar modo quella secondaria di II grado, in maniera diversa da chi da anni lavora tra i ragazzi. Insegno da molti anni in un Liceo, credo di essere uno dei pochi fortunati ad espletare un lavoro che amo e per il quale dedico non solo la parte antimeridiana, ma gran parte del resto della giornata, impegnandomi in una preparazione, perchè il giorno dopo, nelle quattro classi che dovrò visitare, "venga allo scoperto nei ragazzi e venga radicata in una cultura e in una storia - come dice l'autore - la domanda di senso dell’esistenza" e non "viceversa fornire elementi di etica pubblica, di etica della cittadinanza, persino di educazione sessuale". Non mi sembra rispettosa del lavoro di tanti docenti di religione "l’osservazione empirica" che fa derivare "l’ignoranza diffusa e crescente della storia del Cristianesimo e della Chiesa nella società italiana e tra i ragazzi" da una supposta "riduzione dell’ora di religione a un’ora di etica o di psicologia applicata", alimentando dubbi sulla "preparazione culturale degli insegnanti di religione".
Non dovrebbero sfuggire all'esperto delle politiche scolastiche le gravissime lacune di base dei nostri alunni delle superiori che non riguardano solamente la religione, ma tutte le discipline, dall'italiano alle materie scientifiche. Mi capita spesso di "ancorare" la domanda al vissuto culturale e/o conoscitivo degli alunni e sapete cosa vedo in loro? Lo smarrimento più totale.
Colpa di chi .....?
Ai nostri alunni, considerati svegli e intelligenti, non si è insegnato a ragionare, ma solo ad imparare, o meglio, a ritenere a memoria formule e nozioni che, sommate a quelle che essi normalmente prediligono, formano una montagna di "rifiuti", destinata ad essere rimossa.
La mia impressione
,“nasometrica” al pari di Cominelli, è che occorra "verificare con metodi scientifici più attendibili" la formazione culturale impartita nella scuola italiana, sentendo magari il parere di chi ogni giorno vive con passione il mestiere dell'insegnante.
jonas

Numeri e fede/7: L’infinito è logico?
L’aritmetica dice di sì
l'immagine è presa da: www.fabiosommella.it

Intervista al professor Antonio Mari­no, ordinario di Analisi matema­tica all’Università di Pisa.
La matematica permette di indagare con successo gli aspetti logico- razionali del­la realtà. «Offre alla scienza il modo di scoprire, ad ogni passo, straordinarie strutture logiche nell’universo, che fanno luce su armonie inattese e mostrano le­gami profondi fra fatti e feno­meni che a volte ci sembrano del tutto estranei fra loro. Chi crede, chi ha già fatto qualche passo nel cammino della fede, non trova contrasto fra questi ri­sultati scientifici e la propria fe­de, ma anzi un’armonica, bellis­sima consonanza. La matemati­ca ci costringe ad alzare lo sguardo: per ogni problema ci fa cercare una logica che lo inqua­dri e ne renda conto. E questo porta a prospettive impreviste e sempre più elevate» .
L'ntera intervista la potete leggere su:http://www.rivistadireligione.it/rivista/articolo.

mercoledì 25 febbraio 2009


Una lettura apprezzabile, (in prospettiva moderna) dei Patti Lateranensi di Galli Della Loggia Ernesto

Quando il Papa non fu più prigioniero - I Patti che posero fine alla Questione romana

«Non vi è mai stata, non vi è, e presumibilmente non vi sarà mai, la possibilità di separazione assoluta tra i due poteri in un Paese dell' Occidente europeo e in Italia in modo speciale. Non vi è mai stata e non vi sarà mai perché l' europeo non è divisibile. La Chiesa si può combattere; la Chiesa si può perseguitare; con la Chiesa si può patteggiare; ma la Chiesa non si può ignorare; è questo un dato di fatto che 19 secoli di storia confermano». Queste parole, pronunciate alla Costituente in occasione della discussione sui Patti Lateranensi da un illustre parlamentare cattolico, Stefano Jacini - antico esponente del modernismo, deputato popolare dichiarato decaduto per antifascismo, infine membro del Cln dell' Alta Italia - possono riassumere abbastanza bene il senso con cui oggi guardare a quel Trattato di cui sta per ricorrere l' ottantesimo anniversario il prossimo 11 febbraio. In realtà all' inizio - cioè subito dopo la presa di Roma nel 1870 e la fine del potere temporale del Papa che ne era seguito, apice dell' aspro scontro accesosi tra la Chiesa e il movimento liberal-nazionale italiano nel corso del Risorgimento - proprio la strada della separazione più o meno assoluta era stata quella che il neonato Regno d' Italia aveva deciso di battere. Lo aveva fatto attraverso la cosiddetta «legge delle guarentigie» (1871): le garanzie in questione erano per l' appunto quelle che in modo del tutto unilaterale l' Italia riconosceva al Pontefice dichiarandolo sottratto ad ogni sua giurisdizione, equiparando la sua persona a quella del re, assicurandogli il possesso indisturbato dei Palazzi Apostolici e di altri edifici e luoghi di Roma, riconoscendogli il diritto di legazione attiva e passiva, interdicendosi la possibilità d' intralciare in qualsiasi modo l' attività sia della Curia e della Santa Sede che del relativo personale ecclesiastico. L' Italia insomma, e sia pure con certi limiti, dichiarava l' organizzazione centrale della Chiesa di Roma, che pure aveva sede nella sua capitale, una sorta di corpo estraneo, un totalmente altro da sé. Anche se fondato su un solido impianto ideologico di stampo liberale, fatto sinceramente proprio da tanti protagonisti del Risorgimento, il separatismo che allora l' Italia adottò fu tuttavia in buona parte una scelta obbligata. Infatti, l' esitazione di Pio IX e dei suoi successori a rinunciare ufficialmente ad un' eredità storica plurisecolare, e dunque la loro pervicacia nel considerarsi vittime di una pura e semplice sopraffazione, non le lasciarono altra via. Per sessant' anni il Papa, insomma, preferì considerarsi «prigioniero» nel Vaticano anziché riconoscere il fatto compiuto addivenendo ad un qualche compromesso. La «questione romana» rimase così un problema aperto, anche se vissuto sempre meno drammaticamente da ambo le parti. Con il passare del tempo, peraltro, il mancato riconoscimento del nuovo regno da parte della Santa Sede finì per rappresentare non tanto un potenziale pericolo per la legittimazione internazionale del Paese, come invece si era assai temuto all' inizio da parte italiana, quanto piuttosto la causa permanente di un rapporto difficile tra il nuovo Stato e molti suoi cittadini di fede cattolica. Quelli, per esempio, che attenendosi alle disposizioni della Chiesa non partecipavano per protesta alle elezioni politiche. Fu questo un ulteriore aspetto del caso singolare che aveva visto l' Italia unico Paese d' Europa conseguire la propria indipendenza nazionale in contrasto con la religione della stragrande maggioranza dei suoi abitanti. Il nodo, come si sa, si sciolse solo con il fascismo, nel 1929. Non a caso, dal momento che solo la dittatura mussoliniana era in grado di concedere alla Santa Sede ciò che a qualunque altro governo inserito nella tradizione liberale italiana sarebbe stato invece assai difficile concedere. Vale a dire, oltre al Trattato del Laterano vero e proprio - con la soluzione (già peraltro messa a punto in molte trattative precedenti) della questione della sovranità territoriale grazie all' «invenzione» dello Stato della Città del Vaticano - anche la garanzia politica aggiuntiva, il «necessario complemento» di un Concordato, come si legge nella premessa di questo. Un Concordato che, benché sempre modificabile con il consenso delle parti (infatti è stato poi modificato nel 1984), almeno nella sua primitiva versione del ' 29 era oltremodo comprensivo delle ragioni della Chiesa cattolica, a scapito vuoi dell' autorità dello Stato vuoi dell' eguaglianza dei cittadini. Proprio l' accettazione di un Concordato siffatto era tuttavia la prova, agli occhi della Santa Sede che l' Italia ufficiale aveva rotto inequivocabilmente con il passato e che, come ebbe a dire Pio XI con mal riposta enfasi polemica, essa era ormai intenzionata a «regolare debitamente le (sue) condizioni religiose per sì lunga stagione manomesse, sovvertite, devastate in una successione di Governi settari od ubbidienti e ligi ai nemici della Chiesa, anche quando forse nemici essi medesimi non erano». In realtà, a partire dal 1929, Trattato e Concordato hanno cominciato a vivere una vita largamente autonoma, dal momento che la costituzione della Città del Vaticano si è dimostrata una soluzione di per sé felice e vitale, dotata di una forza e validità sue proprie. Si può anzi dire, a ben pensarci, che quella soluzione ha rappresentato un grande vittoria postuma del Risorgimento, dimostrando nel modo più chiaro che la fine del potere temporale dei Papi, lungi dall' impedire alla Chiesa di svolgere il suo magistero universale, è stata la premessa, viceversa, per un esercizio di tale missione ancora più vigoroso, vasto ed influente. Tutto ciò, come dicevo, indipendentemente poi dall' esistenza tra la Chiesa e lo Stato italiano di un Concordato. Ormai, tra l' altro, la ragione d' essere di questo non può più essere fatta risalire all' antico contenzioso tra l' Italia laica e l' Italia clericale degli anni del Risorgimento né può più consistere in qualche sogno di «restaurazione cristiana della società» come quello che pure sognava La Civiltà Cattolica all' indomani dell' 11 febbraio. Esso risponde palesemente ad altri motivi, ad altri sentimenti pubblici. Primo fra tutti al superamento del liberalismo ottocentesco per quanto riguarda il riconoscimento del carattere istituzionale della Chiesa. Finite le antiche dispute, e ammaestrato dalle sanguinose pretese totalitarie del Novecento, oggi lo Stato democratico-costituzionale può tranquillamente ammettere anche al proprio interno l' esistenza di altri ordinamenti originari con cui stabilire accordi e intese. E può farlo senza che debba necessariamente scapitarne in alcun modo né il confronto e magari anche lo scontro tra le idee, né l' irrinunciabile libertà per chiunque di credere o non credere. Ma ancor prima di ciò vi è un debito che ogni Paese ha con la propria storia. Quella italiana appare troppo inestricabilmente intrecciata alla vicenda del Cristianesimo e della Chiesa romana perché sia realmente plausibile immaginare un reciproco disinteresse, una reale indifferenza dell' una rispetto all' altra all' insegna dell' unilateralità. Alla fine, nella sua essenza e al di là di ogni possibile, anche necessaria, disputa sui suoi contenuti, il Concordato non è che la presa d' atto di questo dato. L' intesa I Patti Lateranensi includevano: un Trattato, con cui era riconosciuta alla Santa Sede la sovranità sulla Città del Vaticano; un Concordato per regolare i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica (matrimonio, ora di religione, enti ecclesiastici etc...) e una convenzione finanziaria Parole famose La frase di Pio XI sull' uomo della Provvidenza Il 13 febbraio 1929, ricevendo i professori e gli allievi dell' università del Sacro Cuore, Pio XI parlò a lungo dei Patti Lateranensi e pronunciò la controversa frase: «E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti, tutte quelle leggi diciamo, e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi».
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(6 febbraio 2009) - Corriere della Sera
Il Papa e la Shoah

Trovo interessante e proponibile ai fini della comunicazione didattica l'iniziativa di SHARE/leonardo.fiandaca , visto anche il larghissimo uso che gli alunni fanno di Internet rispetto al libro di testo, specie nelle scuole superiori. Sul suo sito ho preso l'articolo seguente.
Città del Vaticano (AsiaNews) – La Shoah rimane un monito contro la potenza del male e contro ogni oblio e negazionismo. L’ha detto oggi Benedetto XVI che ha espresso la sua “piena e indiscutibile solidarietà” ai “fratelli” ebrei. Il Papa, che ha anche ricordato la sua visita ad Auschwitz, ha pure fatto riferimento alla revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani ai quali ha chiesto l’impegno a riconoscere il Concilio Vaticano II.

“Mentre – ha detto - rinnovo con affetto l'espressione della mia piena e indiscutibile solidarieta' con i nostri fratelli destinatari della Prima Alleanza, auspico che la memoria della Shoah induca l'umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell'uomo”. La Shoah, ha aggiunto, deve essere “per tutti monito contro l'oblio, la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti”.

Le parole di Benedetto XVI appaiono una risposta alle polemiche sollevate dalle posizioni di uno dei vescovi tradizionalisti, mons. Richard Williamson, il quale nega l’esistenza delle camere a gas e riduce l’Olocausto alla uccisione di 300mila ebrei. Esse, peraltro, giungono nel giorno in cui il Gran Rabbinato di Israele ha deciso – a quanto riferisce il Jerusalem Post - di rompere a tempo indefinito le relazioni con il Vaticano, proprio a seguito della revoca della scomunica al vescovo lefebvriano negazionista. Il Gran Rabbinato ha anche cancellato un incontro con la Commissione vaticana per i rapporti con l'ebraismo, in programma a Roma dal 2 al 4 marzo.

martedì 24 febbraio 2009


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se offrirai il pane all'affamato,
se sazierai chi è digiuno,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio.

Isaia 58,10

biscotti
Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d'attesa di un grande aeroporto. Siccome avrebbe dovuto aspettare per molto tempo, decise di comprare un libro per ammazzare il tempo. Comprò anche un pacchetto di biscotti. Si sedette nella sala VIP per stare più tranquilla. Accanto a lei c'era la sedia con i biscotti e dall'altro lato un signore che stava leggendo il giornale.

Quando cominciò a prendere il primo biscotto,anche l'uomo ne prese uno; lei si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro.Tra lei e lei pensò: "Ma tu guarda…se solo avessi un po' più di coraggio,gli direi quattro...". Così ogni volta che lei prendeva un biscotto,l'uomo accanto a lei, senza fare un minimo cenno, ne prendeva uno anche lui. Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la donna pensò: "Ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice quando saranno finiti tutti…!".

L'uomo prima che lei prendesse l'ultimo biscotto lo divise a metà! "Ah, questo è troppo", pensò e cominciò a sbuffare e indignata si prese le sue cose il libro e la sua borsa e si incamminò verso l'uscita della sala d'attesa. Quando si sentì un po' meglio e la rabbia era passata, si sedette su una sedia lungo il corridoio per non attirare troppo l'attenzione e per evitare altri incontri spiacevoli. Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro quando, nell'aprire la borsa, vide che il pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno. Sentì tanta vergogna e capì solo allora che il pacchetto di biscotti uguale al suo era di quell'uomo seduto accanto a lei che però aveva diviso i suoi biscotti con lei senza sentirsi indignato, nervoso. Al contrario di lei che aveva sbuffato,ma che ora si sentiva sprofondare… (Autore ignoto)

venerdì 20 febbraio 2009




Di me posso fare qualsiasi cosa?

Il dibattito in corso nelle ultime settimane sul cosiddetto “fine vita” – con gli interrogativi riguardanti il testamento biologico, l’accanimento terapeutico e l’eutanasia – ha spesso fatto ricorso al principio dell’autodeterminazione. Con questa espressione si intende il dovere di rispettare la volontà della persona, che può lecitamente rifiutare un trattamento medico e non va sottoposta a una terapia in modo coercitivo.


Il capitalismo e le sfide della crisi economica

Un po’ di silenzio prima di scappar via

In modo quasi spietato, ma realistico, la redazione di korazim nell'editoriale ha messo in luce quello che spesso si vede la domenica in chiesa.
Occorre riflettere sul significato della Liturgia intesa come partecipazione al Mistero/memoriale della salvezza.

Dallapiccola: una persona non è solo il risultato del suo genoma

di Antonio Gaspari

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 20 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Intervenendo questo venerdì in Vaticano al Congresso su “Le nuove frontiere delle genetica ed il rischio dell’eugenetica”, il prof. Bruno Dallapiccola ha spiegato i benefici e i rischi delle diagnosi genetiche.

Nel suo intervento al Congresso organizzato in occasione della XV Assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita, il professore di genetica dell’Università “La Sapienza” ha precisato come non sia esattamente vero che basta avere la mappa del genoma di una persona per sapere esattamente di quali malattie sarà affetto.

La possibilità o meno di contrarre malattie dipende da molti fattori, quali eventuali errori nella replicazione e in che modo ci si relaziona con l’ambiente.

Nella conferenza stampa di presentazione del Congresso, il prof. Dallapiccola aveva ricordato che due tra i maggiori scienziati della genetica, i professori James Watson e Craig Ventre, si sono sottoposti all’analisi del loro genoma, scoprendo molti fattori di suscettibilità all’alcolismo, alle malattie coronariche, alle malattie psichiatriche e quant’altro.

“Ma questo – ha precisato il professore – non significa che i due sono particolarmente sfortunati, perchè tutti noi siamo pieni di imperfezioni a livello del genoma. Dietro alle centinaia di migliaia di variazioni del codice genetico infatti si nascondono geni che corrispondono a malattie o patologie strane, ma non è detto che queste divengano effettive”.

Per illustrare il suo punto di vista, il docente di genetica, che è anche Presidente dell’Associazione “Scienza & Vita”, ha spiegato come due gemelli pur avendo lo stesso menoma, sono due persone diverse, perché la regolazione dei loro geni è largamente legata ai fattori ambientali.

Di fronte agli enormi avanzamenti nella comprensione della genetica il prof. Dallapiccola ha confessato di “essere innamorato di questa disciplina” che però “è un arma a doppio taglio”. Per questo, ha avvertito, “dobbiamo capire esattamente i pro e i contro di questo uso”.

Secondo il docente di genetica, l’errore più grave sarebbe quello di cadere in una logica deterministica e/o riduzionista, che aprirebbe scenari sconvolgenti, con gran parte della popolazione ossessionata dalle possibili malattie che potrebbe contrarre e con un accesso indiscriminato e generalizzato alle interruzioni di gravidanza.

Dallapiccola ha raccontato che si trova quotidianamente a confrontarsi con delle famiglie terrorizzate da alcune diagnosi prenatali.

“Nell’ottanta per cento dei casi – ha raccontato il docente di genetica – certifico che certe patologie non avranno esito e che il nascituro sarà perfettamente normale”.

“La genetica è una disciplina anti-discriminatoria perché ha dimostrato che il nero ed il bianco sono esattamente identici, ma bisogna stare attenti a non farla diventare strumento di selezione eugenetica”, ha sottolineato Dallapiccola.

Il docente di genetica ha concluso esprimendo una grande ammirazione per il progresso scientifico che sta cambiando la vita e ci consente di affrontare molte patologie e malattie con maggiori possibilità di cura, ma certamente c’è bisogno di una certa prudenza perché la persona non è mai solo espressione del suo genoma.

La vera emergenza è la disumanità

La vera emergenza è la disumanità

…è veramente il bullismo l’emergenza della scuola? Non che non esistano episodi di violenza gratuita o di grave inadempienza delle regole della convivenza scolastica, per le quali è giusto che si prendano provvedimenti, ma l’emergenza della scuola è un’altra, è l’educazione. Oggi ciò che spesso un ragazzo non incontra in classe è uno sguardo positivo su di sé, qualcuno che valorizzi la sua umanità, qualcuno che si fidi della sua libertà: è questa l’emergenza, bullismo, noia, indifferenza ed estraneità sono le conseguenze di questa assenza di umanità. …è emergenza anche in quelle scuole dove tutto sembra in ordine, dove il rispetto delle regole è garantito e chi le infrange viene punito, ed anche in quelle classi dove i programmi scolastici vengono svolti senza problemi e il 90% degli studenti è promosso non con un voto politico, ma per merito. …

[Gianni Mereghetti, La vera emergenza non è il bullismo ma la disumanità – Il Giorno - Lombardia 12-04-07]

Ø Sniffing e bringe drinking Ø

«Sniffare solventi e colle è un fenomeno molto più diffuso di quanto si possa pensare. Solo che è poco conosciuto, non ci si fa caso e non esistono studi sull’argomento». Riccardo Gatti, direttore del dipartimento dipendenze della Asl Città di Milano, che da 25 anni studia le droghe… Lo «sniffing», che può essere tradotto «sballo chimico», è una pratica che arriva dagli slum indiani, dall’Est europeo, dalle favelas brasiliane, dall’Africa, da tutti i Paesi più poveri. Oggi l’hanno ereditata anche i ragazzini italiani minorenni: la «droga» costa poco, è facilmente reperibile su mercato e la vendita non è soggetta ad alcuna forma di controllo. «Non credo che si tratti solo di un fatto economico. Semplicemente chi cerca lo sballo lo fa con quello che trova, sperimenta tutto. È più facile provare qualcosa che trovi al supermercato piuttosto che entrare in strani giri, soprattutto per i ragazzini. Chi sniffa solventi generalmente non fa solo quello, ma utilizza anche altre droghe». …Ma è una pratica pericolosa perché ha senza dubbi impatti sul sistema nervoso e provoca malattie a livello polmonare. …

[Cristina Marrone, «Fenomeno diffuso ma poco noto. A Milano è morto uno studente» – Corriere della Sera 12-04-07]

Allarme alcol tra giovani e giovanissimi. Il 67% dei 13-15enni beve il sabato sera, di questi il 20% si ubriaca nel fine settimana. Tra gli adolescenti si diffonde, infatti, il “bringe drinking” bere per ubriacarsi sei o più bicchieri in un’unica occasione. La denuncia arriva dalla ricerca condotta nelle discoteche per il ministero della Salute dal Centro collaboratore per l’Oms per l’alcol… «In Italia il modello di consumo di alcol è per tradizione “moderato”», cioè vino durante i pasti. …«Preoccupa la maggior diffusione del consumo di alcolici tra 11-15enni, col 18,6% che dichiara di avere consumato bevande alcoliche nell’anno». Ma c’è anche la «forte crescita del consumo di alcol fuori pasto per gli adolescenti»: tra 1998 e 2006 il consumo di alcol fuori pasto tra i 14-17enni è cresciuto dal 12,6% al 20,5%. …Fattori di rischio… sono il bere fuori pasto, l’abitudine al fumo, la frequentazione di “open bar”, “happy hour” e discoteche «dove alcolpops (i cocktail pronti in bottiglia, ndr) e stuzzichini sono d’obbligo. …». …In Italia ogni anno sono circa 25 mila i decessi associati all’alcol che provoca il 44% delle cirrosi epatiche, il 19% degli incidenti, il 4% dei tumori. …

[L.Liv., Alcool, due ragazzi su dieci ubriachi nei weekend – Avvenire 13-04-07]

domenica 15 febbraio 2009

Scuola primaria

Un contributo di S. Cicatelli per sedare gli allarmismi di molte maestre della scuola primaria:

"Da più parti viene segnalata una diffusa tendenza degli insegnanti di classe delle scuole primarie a dare di nuovo la disponibilità all’Irc dopo anni in cui l’avevano revocata lasciando spazio agli Idr specialisti. Tale tendenza è legata alle recenti misure del governo in materia di organici e organizzazione didattica (c.d. maestro unico), ma è espressione di un preoccupante atteggiamento strumentale nei confronti dell’Irc da parte degli insegnanti interessati...."


IRC E INSEGNANTI DI CLASSE NELLA SCUOLA PRIMARIA

sabato 14 febbraio 2009

La Chiesa sul caso Eluana Englaro
Vita, famiglia e lefebvriani - Il punto del cardinale Bagnasco

Leggere la Bibbia a scuola



Leggere la Bibbia a scuola