domenica 26 aprile 2009

Benedetto XVI agli Idr - Roma 25 aprile 2009 - 2/2


MEETING IDR 2009
"Io non mi vergogno del Vangelo (Rm 1,16)
Il momento culminante del Meeting è stato senza dubbio l'incontro del 25 aprile con Benedetto XVI. Le 8000 persone che gremivano la sala hanno avvertito la gioia di far parte davvero di una Chiesa viva. Il Papa, come sempre, ha parlato in maniera pacata, ma profonda: Le sue parole giungevano in una platea silenziosissima, rotta talvolta nei passaggi chiave laddove diceva che, lungi dal costituire «un’interferenza o una limitazione della libertà», la presenza nella scuola pubblica italiana degli insegnanti di religione selezionati dalla Chiesa cattolica «è, anzi, un valido esempio di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva, fondata sul rispetto reciproco e sul dialogo leale, valori di cui un Paese ha sempre bisogno».
Il Papa ha sottolineato che il «servizio» dei docenti di religione si svolge «senza improprie invasioni o confusione di ruoli» e ha aggiunto: «È significativo che con gli insegnanti tanti ragazzi si tengano in contatto anche dopo i corsi».
«Auguro a tutti voi - ha aggiunto - che il Signore vi doni la gioia di non vergognarvi mai del suo Vangelo, la passione di condividere e coltivare la novità che da esso promana». ...
«Con la piena e riconosciuta dignità scolastica del vostro insegnamento voi contribuite, da una parte, a dare un’anima alla scuola e, dall’altra, ad assicurare alla fede cristiana piena cittadinanza nei luoghi dell’educazione e della cultura in generale.
Grazie all’insegnamento della religione cattolica la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità»....
"La dimensione religiosa non è dunque una sovrastruttura; essa è parte integrante della persona, sin dalla primissima infanzia; è apertura fondamentale all’alterità e al mistero che presiede ogni relazione ed ogni incontro tra gli esseri umani. La dimensione religiosa rende l’uomo più uomo".

martedì 21 aprile 2009




"Non tento, Signore, di penetrare la tua profondità, perché non posso neppure da lontano mettere a confronto con essa il mio intelletto; ma desidero intendere, almeno fino a un certo punto, la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di capire per credere, ma credo per capire".
Dal "Proslogion" di Sant'Anselmo di Aosta (1033-1109)

Il pane, come altri cibi, è stato usato ben prima dell’avvento del cristianesimo in riti religiosi come oggetto da offrire alla divinità. Dall’Epopea di Gilgamesh, un racconto epico di fondamentale importanza della religione babilonese, apprendiamo che già nel secondo millennio a.C. il pane era offerto agli dèi come oggetto consacrato. Anche in altre culture del Mediterraneo antico, in cui si coltivava il grano e l’alimentazione era incentrata sul consumo dei cereali, il pane ha avuto un posto d’onore nei rituali. Soltanto nel cristianesimo, d’altro canto, la consacrazione del pane e il suo sacrificio in quanto «corpo di Cristo» hanno assunto un valore così centrale e assoluto. Su questo punto, il cristianesimo si differenzia dalle religioni classiche come quella greca e quella romana. Per i greci, il cibo privilegiato offerto nei grandi sacrifici pubblici – che costituivano il cuore della religione delle città greche – era la carne degli animali uccisi per essere offerti alle varie divinità. Questa carne era cotta e offerta alla divinità nelle parti ritenute più preziose, mentre il resto veniva diviso tra i sacerdoti officianti e distribuito al popolo che partecipava al rito.

Anche i greci avevano una divinità protettrice dei cereali (e dunque del pane), Demetra, in onore della quale, a partire dal vii secolo a.C., si celebrarono in una cittadina vicino ad Atene, Eleusi, riti misterici celebri. Proprio, però, la natura misterica di questi riti, che impediva agli iniziati di svelarne il contenuto, ci impedisce di sapere se per esempio a Demetra fosse offerto in sacrificio il pane.

Se si vuole trovare un precedente al rito cristiano, occorre guardare alla religione dell’Israele antico. In alcune antiche feste ebraiche, attestate nell’Antico Testamento, sono presenti usi sacrali del pane. Per Shavu’ot, la festa del raccolto o Festa delle Settimane, ad esempio, gli israeliti recavano al loro Dio come oblazione due pani di grano. Questa festa aveva luogo cinquanta giorni (sette settimane) dopo la Pasqua e divenne perciò nota col nome greco di Pentecoste: commemorava il giorno in cui Mosè ricevette le Tavole della Legge sul monte Sinai. Vi era poi Hag ha-Matsot, la festa del Pane Azzimo, una delle tre grandi feste agricole celebrate dagli israeliti dopo il loro stanziamento nella terra di Canaan. Essa era originariamente un rito di ringraziamento all’inizio del raccolto del grano, ma più tardi venne unita alla festa pastorale nomade della Pasqua, la commemorazione storica dell’uscita di Israele dall’Egitto. Per sette giorni gli ebrei mangiavano solo pane non lievitato, come segno di un nuovo inizio. Un precedente importante del rito cristiano è, infine, il «pane della presenza», che gli israeliti erano soliti deporre davanti al Santo dei Santi nel Tempio di Gerusalemme (Levitico 24,5-9): sopra una tavola, su due pile, venivano poste dodici focacce di pura farina di grano, rappresentanti le dodici tribù di Israele e la loro alleanza eterna con Jahvé. Ogni sabato esse venivano rimpiazzate e mangiate dai sacerdoti. Proprio questi precedenti, d’altro canto, aiutano a comprendere meglio la profonda e radicale novità rappresentata dal rito cristiano, che presuppone l’identificazione di Gesù come «pane di vita» (Giovanni 6) col pane offerto dal sacerdote. Se si vuole trovare un parallelo occorre guardare a una religione lontana nel tempo e nello spazio, una religione tipicamente sacrificale come quella degli aztechi. Essi usavano fare un impasto simile al pane dai semi del papavero e lo modellavano a forma del dio Huitzilopochtli. Questo pane a forma di figura umana veniva poi spezzato e mangiato dai sacrificanti, con lo scopo di «mangiare il dio» per assimilarne sostanza e poteri.

Quanto al vino, occorre partire da una premessa: come nel caso del pane l’uso rituale e sacro ha come premessa indispensabile la presenza della coltura dei cereali, così l’uso rituale e sacro del vino ha come premessa necessaria la coltura della vite. Ora, nel mondo mediterraneo antico che fa da sfondo al sorgere e alla diffusione del cristianesimo, la coltura della vite non era altrettanto diffusa di quella dei cereali. Non dovremo, di conseguenza, stupirci, che un uso rituale e sacro del vino sia presente in quei paesi, come l’Egitto, Israele, la Grecia e Roma, dove la coltivazione della vite e l’uso del vino sono largamente attestati. Occorre inoltre tenere presente una seconda caratteristica delle antiche culture del vino: il fatto che esso per lo più venisse consumato mescolato a quantità variabili di acqua. Il vino, infatti, come insegna in Grecia la vicenda del dio che ne è il simbolo, Dioniso, ha una doppia valenza, positiva e negativa: può curare dai malanni, donare l’ebbrezza momentanea che libera da affanni e preoccupazioni, favorire in certi casi addirittura l’estasi che permette di congiungersi alla divinità; ma, preso in quantità eccessiva, è pericoloso e può condurre alla follia o alla morte. Per questo, in varie mitologie, nella sua purezza e integrità, esso è la bevanda degli dèi, che garantisce loro l’immortalità.

Torniamo ora al suo uso sacrificale. Vi sono precedenti all’uso rituale e sacrificale cristiano. In Egitto a lungo il vino è stato, insieme alla birra, l’offerta sacrificale più diffusa. Non a caso, nei Testi delle piramidi il cielo viene descritto come una vigna divina e il defunto potrà, dopo la sua morte, goderne i frutti. È in Grecia, però, che il vino acquista, in collegamento con la figura misteriosa di Dioniso, una valenza sacrificale particolare. Nella tragedia di Euripide Le Baccanti, il dio è identificato col vino: «È lui che, nato dio, viene versato come offerta agli dèi...» (v. 284). Dioniso viene dunque identificato con la sostanza stessa del vino offerto nel sacrificio agli dèi, secondo un modello che si ritrova peraltro nel sacrificio del soma, una bevanda simile al vino, nei testi più antichi dell’induismo, i Veda. D’altro canto, il sacrificio cristiano si distingue da quello dionisiaco perché ora a essere identificato col vino è un personaggio storico in carne e ossa: Gesù, e per il valore di memoriale che lo stesso Gesù assegna a questa consacrazione nell’ultima cena di quell’evento fondante e specifico del cristianesimo che è la sua passione, morte e risurrezione.

(Giovanni Filoramo)


INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA (IRC)
NELLA SCUOLA PRIMARIA - PRECISAZIONI

Ecco il testo dell'Intesa tra il Dirigente dell'USP diFoggia e i direttori degli uffici scuola delle cinque diocesi della Metropolia di Foggia

Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca
Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia-Direzione Generale
Ufficio Scolastico Provinciale di Foggia

Prot. AOOUSPFG 4754 Foggia, 7.4.2009
AI DIRIGENTI SCOLASTICI
DEI CIRCOLI DIDATTICI E

IST. COMPRENSIVI
DELLA PROVINCIA

LORO SEDI
OGGETTO: INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA (IRC)
NELLA SCUOLA PRIMARIA - PRECISAZIONI

In data 31.3.2009, lo scrivente ha avuto un incontro con i Direttori degli Uffici Diocesani IRC della Metropolia di Foggia.
In tale occasione, si è avuto modo di esaminare alcune problematiche relative all’IRC nelle scuole Primarie dirette dalle SS.LL.
Innanzitutto, si deve evidenziare che le ore da destinare all’IRC non sono da considerare all’interno del monte ore che contribuisce a determinare l’organico di ciascuno istituto, atteso che, per tale insegnamento, ove fosse necessario, potranno essere assegnate risorse aggiuntive rispetto all’organico determinato dalle SS.LL. e validato da questo Ufficio.
L’occasione è propizia per fornire alle SS.LL. anche delucidazioni in ordine alla idoneità dei docenti che possono impartire l’IRC.
Preliminarmente, in sede di incontro con i Direttori Diocesani, si è esaminata la normativa che regola l’insegnamento, per cui si è convenuto che, ai sensi del D.P.R. 751/1985 –Annesso A- Esecuzione dell’intesa tra l’Autorità Scolastica Italiana e la Conferenza Episcopale Italiana per l’IRC nelle scuole – punto 4.6.2, e successive modificazioni ed integrazioni, sono da considerare dotati di qualificazione necessaria per l’insegnamento di cui trattasi gli insegnanti della scuola materna e della scuola elementare già in servizio nell’anno scolastico 1985/86.
Ovviamente, per tale personale docente deve, in ogni caso, essere rilasciata specifica idoneità e successiva autorizzazione dall’Ordinario competente per Diocesi.
Per gli altri docenti, il riconoscimento dell’Idoneità all’IRC è regolamentato dalle Intese di Metropolia del 30/03/1998 e dell’08/06/1998, in parte modificate in data 25/08/2006.
Relativamente, poi, ai numerosi quesiti posti anche per le vie brevi in ordine alla scelta del docente al quale affidare l’IRC dal prossimo anno scolastico, questo ufficio ritiene che, per salvaguardare la continuità didattica e la necessità di rendere possibile una progettazione culturale ed educativa pluriennale (CM n. 374 del 04.09.98), l’IRC possa essere assegnato:
􀀹 Per le classi prime: al docente ‘specialista’ di RC o al docente ‘unico’ o “prevalente” in possesso di idoneità, disponibile all’IRC e autorizzato dall’Ordinario Diocesano competente per territorio.
􀀹 Per le classi successive al primo anno: al docente ‘specialista’ di RC o al docente ‘prevalente’, in possesso dei requisiti fondamentali (idoneità, disponibilità e autorizzazione da parte dell’Ordinario Diocesano), nella sola classe dove, già nel corrente anno scolastico, svolge l’IRC.
Le SS.LL., nell’ambito dell’autonomia organizzativa della scuola (DPR 275/99), dopo aver accertato il possesso della idoneità e della disponibilità e previa autorizzazione da parte dell’Ordinario Diocesano competente per territorio, possono individuare altro docente, afferente sempre però alla stessa classe e che dia garanzia di continuità pluriennale nella medesima classe. In tale ultimo caso, deve comunque precisarsi che, ove si propenda per tale scelta organizzativa, allo stesso docente, non specializzato, non potranno essere assegnate ulteriori ore di insegnamento di religione cattolica in altre classi (D.P.R. 23.6.90 n. 202).
Nulla è innovato in ordine alle modalità e ai tempi di accertamento e di conferma dell’idoneità all’IRC che restano di esclusiva competenza degli Ordinari Diocesani e che risultano indicati, in linea di massima, nella specifica nota inviata dagli Uffici Scolastici Diocesani alle SS.LL. nello scorso mese di marzo.
fto.IL DIRIGENTE
Dott. Giuseppe De Sabato

sabato 18 aprile 2009

Papa Ratzinger

"Non sono gli intellettuali a misurare i semplici, bensì i semplici misurano gli intellettuali. Il compito del magistero ecclesiale è difendere la fede dei semplici contro il potere degli intellettuali; esso protegge la fede dei semplici, di coloro che non scrivono libri, che non parlano in televisione e non possono scrivere editoriali nei giornali, questo è il suo compito democratico. Esso deve dar voce a quelli che non hanno voce" (Joseph Ratzinger)

venerdì 17 aprile 2009


Venite amici che non è tardi
per scoprire un mondo nuovo.
Io vi propongo di andare più in là dell'orizzonte
e se anche non abbiamo l'energia
che in giorni lontani
mosse la terra e il cielo,
siamo ancora gli stessi,
unica eguale tempra di eroici cuori
indeboliti forse dal fato
ma con ancora la voglia di combattere
di cercare
di trovare
e di non cedere.
A. Tennyson.
immagine
da:monikapersonalspace.spaces.live.com

La malattia della muritudine

Ai primi di aprile il sindaco argentino di San Isidro iniziò la costruzione di un muro che avrebbe dovuto separare il quartiere più ricco della sua città dal quartiere più povero dell’adiacente comune di San Fernando. Il sindaco di San Fernando lo denunciò alla magistratura, che con decisione d’urgenza ordinò di abbattere il muro. Ma il sindaco di San Isidro si oppose, affermando l’indispensabilità del muro per proteggere le famiglie ricche dalla rabbia di quelle povere. Fin qui la cronaca. Ora proviamo a immaginare come andrà a finire.
Il sindaco di San Isidro fece ricorso, lo vinse e ricostruì il muro. Ma poiché i furti nelle case dei ricchi continuavano, decise di costruirne un altro per separare le case dei ricchi più ricchi dalle case dei ricchi normali. Quella notte rubarono in casa sua e così il sindaco fece costruire un terzo muro che lo isolasse dai vicini invidiosi. La notte seguente trovò la figlia in atteggiamenti sospetti con un povero di San Fernando, o con un ricco di San Isidro, al buio non si vedeva bene, e decise di murarla nella sua stanza. Ma la moglie si arrabbiò e allora il sindaco fece innalzare un quinto muro, definitivo, in camera da letto. Per sé tenne soltanto un piccolo bagno, nel quale andò subito a rintanarsi. Lì si sentì finalmente in pace e al sicuro. Quando, alcuni giorni dopo, i ladri sfondarono il muro, lo trovarono adagiato sul pavimento. Aveva un sorriso beato e fra le mani il progetto edilizio dell’Aldilà. Nel mezzo aveva disegnato un muro altissimo per non fare passare la morte. Ignorava che lei sapesse volare.

Massimo Gramellini (La Stampa 15/4/2009)
http://religioinfabula.splinder.com/


PROGETTO
PAOLO DI TARSO

Queso progetto interdisciplinare è stato realizzato dagli alunni delle classi quinte ginnasiali della mia scuola.
Esso si è sviluppato attraverso alcune fasi:
  • La ricerca e la rielaborazione attraverso strumenti multimediali,
  • Visite guidate alla mostra cittadina su san Paolo e a Roma (Tre fontane, Basilica di San Paolo, Carcere Mamertino, Santa Maria del Popolo).
  • Presentazioni dei lavori al Vescovo, agli alunni e alle autorità scolastiche.
Il lavoro si è avvalso della collaborazione dei docenti delle discipline classiche e artistiche.

Cliccare sul titolo

mercoledì 15 aprile 2009

Alexandra Burke - Official Single - 'Hallelujah'

Now, I've heard there was a secret chord
That David played and it pleased the Lord
But you don't really care for music, do you?
It goes like this: the fourth, the fifth
The minor fall, the major lift
The baffled king composing Hallelujah

Ora, ho saputo dell'esistenza di una melodia segreta (1)
che Davide suonava e compiaceva il Signore
ma tu non ti interessi veramente di musica, non è vero?
Funziona così: la quarta, la quinta
la minore, aumentata, la maggiore diminuita.
Il re turbato compose un Hallelujah


Hallelujah
Hallelujah
Hallelujah
Hallelujah

Alleluia (5)
Alleluia
Alleluia
Alleluia

Your faith was strong but you needed proof
You saw her bathing on the roof
Her beauty and the moonlight overthrew you
And she tied you to a kitchen chair
She broke your throne and she cut your hair
And from your lips she drew the Hallelujah

La tua fede era forte ma avevi bisogno di una prova
avevi visto lei mentre faceva il bagno sulla terrazza
la sua bellezza e la luce della luna ti avevano sconvolto (2)
e lei ti ha legato ad una sedia della cucina
ha infranto il tuo trono ed ha tagliato i tuoi capelli
e dalle tue labbra ha tirato fuori l'Hallelujah (3)

Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah

Alleluia
Alleluia

You say I took the name in vain
I don't even know the name
But if I did, well really, what's it to you?
There's a blaze of light
In every word
It doesn't matter which you heard
The holy or the broken Hallelujah

Tu dici che ho preso il nome invano
io neanche lo conosco il mio nome
ma se anche (lo conoscessi), cosa cambierebbe per te?
C'è una vampata di luce
in ogni parola
non importa quale hai ascoltato
l'inno sacro o quello spezzato

Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah

Alleluia
Alleluia

I did my best, it wasn't much
I couldn't feel, so I tried to touch
I've told the truth, I didn't come to fool you
And even though
It all went wrong
I'll stand before the Lord of Song
With nothing on my tongue but Hallelujah

Ho fatto del mio meglio, non era molto
non potevo sentire, così ho tentato di toccare (con mano)
ho detto la verità, non volevo ingannarti
e se nonostante questo
tutto andasse male
arriverò davanti al Signore della Musica (4)
con nient'altro nella mia voce che (questo) Hallelujah

Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah

Alleluia
Alleluia
Alleluia
Alleluia
Alleluia
Alleluia
Alleluia
Alleluia
Alleluia

sabato 11 aprile 2009


"Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore"
(Fil 2,10-11).


Proclamamiamo con la mente e con il cuore
:

CRISTO è IL SIGNORE sul dolore,
CRISTO è IL SIGNORE sul pianto,
CRISTO è IL SIGNORE sulla morte,

CRISTO è IL SIGNORE sulla povertà,

CRISTO è IL SIGNORE sulla tristezza,
CRISTO è IL SIGNORE sulla distruzione,

CRISTO è IL SIGNORE sulla disperazione,

CRISTO è IL SIGNORE della mia vita!

mercoledì 8 aprile 2009


Se non puoi essere un pino sul monte,
sii una saggina nella valle,
ma sii la migliore, piccola saggina
sulla sponda del ruscello.
Se non puoi essere un albero,sii un cespuglio.
Se non puoi essere un'autostrada,sii un sentiero.
Se non puoi essere il sole,sii una stella.
Sii sempre il meglio di ciò che sei.
Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato ad essere;

poi mettiti con passione a realizzarlo nella vita.
Martin Luther King


martedì 7 aprile 2009

Studio rivela: rivolgersi a Dio
è come parlare a un amico

La ricerca su venti fedeli cristiani condotta da Uffe Schjodt, dell'università di Aarhus in Danimarca pubblicato su "New Scientist"


NON c'è nulla di mistico in una preghiera. Per il nostro cervello rivolgersi a dio è come parlare a un amico in carne e ossa. Un gruppo di scienziati ha infatti esaminato le reazioni cerebrali di un gruppo di fedeli impegnati nella ricerca di un conforto spirituale attraverso un dialogo con dio, scoprendo che si attivano le stesse aree di una normalissima conversazione. Cosa che non capita quando ci si rivolge a Babbo Natale. Mentre quando si recita una preghiera a memoria si attivano esclusivamente le zone adibite alla ripetizione.

Lo studio si è concentrato esclusivamente sulla religione cristiana ed è stato condotto da Uffe Schjodt, dell'università di Aarhus in Danimarca pubblicato sulla rivista Social Cognitive and Affective Neuroscience e riportato sul magazine britannico New Scientist. Gli esperti hanno chiesto ai venti devoti volontari in prima battuta di recitare il Padrenostro o una filastrocca per bambini: in entrambi casi la risonanza magnetica mostra che nel loro cervello si accendono aree associate alla ripetizione.

Poi hanno chiesto loro di parlare con Dio, con preghiere personali, o di parlare con Babbo Natale per esprimere i propri desideri sotto l'albero. In questo caso la risonanza mostra che si accendono le aree della conversazione e che, in particolare, quando ci si rivolge a Dio sono attive anche aree della corteccia prefrontale che servono a capire intenzioni ed emozioni altrui, cosa che succede sempre di fronte a un interlocutore in carne ed ossa. Ciò però non avviene quando si parla con Babbo Natale.

In base a questi risultati, secondo Schjodt rivolgersi a Dio è come parlare con una persona, mentre Babbo Natale non sprigiona gli stessi effetti perché si è consapevoli dell'aspetto simbolico e lo si considera più un "oggetto", il protagonista di una leggenda.

(7 aprile 2009) - Fonte: http://www.repubblica.it

lunedì 6 aprile 2009

A mani nude tra le macerie, cosi' li ho salvati

dell'inviato Vincenzo Sinapi

TEMPERA (L'AQUILA) - Ha cominciato a scavare a mani nude subito dopo la scossa e la mattina alle 9, con i suoi amici, era ancora lì sopra le case crollate, a cercare di tirare fuori dei corpi. Alla fine Fabiano Ettorre - 30 anni, di Tempera, volontario della Protezione civile - ne ha contati 11: sei morti e cinque ancora vivi. "Me lo sentivo", dice.

Non era andato a dormire, Fabiano Ettorre, e dopo il terremoto avvertito intorno alla mezzanotte dice di aver "sentito" che qualcosa di brutto sarebbe successo. "Mi sono attaccato a internet per vedere quale era la magnitudo e poi sono rimasto lì, vestito, davanti al pc". Alle 3:32 è successo quello che Fabiano temeva. Ha preso in braccio i due figli e, insieme alla moglie, è uscito di casa. "Non ci torneremo presto", dice adesso a uno dei due bambini. Ma non è stato quello il suo primo pensiero. Messa infatti la famiglia al sicuro, ha cominciato a darsi da fare. Fabiano, diversi suoi amici, gli abitanti di Tempera - poche centinaia, si conoscono tutti - si sono riuniti e hanno cominciato a scavare. Hanno continuato per tutta la notte, guardando dovunque, cercando di carpire ogni lamento: e se qualcuno sentiva un bisbiglio, lì cominciavano a scavare. A mani nude, appunto, senza protezioni particolari. Qualcuno, al massimo, indossava un casco da moto. Sono storie di altruismo, di coraggio e di grande pena quelle che questa squadra improvvisata di volontari può raccontare...."

http://www.ansa.it

Dolore e solidarietà
per i fratelli dell'Abruzzo

domenica 5 aprile 2009

Se non ami

“Tutto ciò che non va diritto alla carità è figura.
L'unico oggetto della Scrittura è la carità”.

B.Pascal

Cristo Gesù umiliò se stesso

facendosi obbediente

fino alla morte

e a una morte di croce.

Per questo Dio lo esaltò

e gli donò il nome

che è al di sopra di ogni nome.(Fil 2,8-9)


Per realizzare pienamente il proprio desiderio di felicità

l'uomo si affanna nella conquista di un posto di onore nella società.

Gesù indica una strada diversa:

la strada dell’umiltà e del dono della vita per i fratelli.


mercoledì 1 aprile 2009

L’ora di religione nelle scuole superiori: un momento morto o una stimolante occasione di confronto?
Ho tovato per certi aspetti interessante l'intervista fatta ad Andrea Monda, giornalista e scrittore, ora insegnante di religione nelle scuole superiori. Concordo con il collega sull'importanza della figura dell'Idr, senza dimenticare, però, i contenuti da trasmettere durante l'ora di religione.


"... Gli abbiamo chiesto quale è il suo approccio alla materia e ai ragazzi, ma soprattutto se quest’ora può veramente essere valorizzata e fatta apprezzare nel modo giusto agli studenti.

Laureato in giurisprudenza e in scienze religiose, giornalista, scrittore e... insegnante di religione. Professore, perché questa scelta di calarsi nella realtà scolastica andando, tra l'altro, a proporre una delle materie più contestate?

Difficile rispondere, difficile spiegare. Non l’ho fatto “a tavolino”. La mia è stata un’esperienza simile ad un innamoramento e a un matrimonio, tutte cose che “a tavolino” non esistono o non funzionano. Non so se il mio funziona ma, per ora, esiste. Lavoravo in banca e mi sembrava tutto molto utile, soprattutto al mio portafoglio, ma quindi molto triste. Avevo fame di qualcos’altro. E quindi mi sono messo a studiare. E poi sono andato a “studiare” la cosa più interessante del mondo: altri esseri umani, i giovani. Vado a scuola per apprendere più che per studiare, facendo così mi diverto di più. La materia che ho scelto non è una materia e non l’ho scelta: è stata lei che ha scelto me, un po’ come mia moglie ha scelto me e l’amore ha scelto me e mia moglie. Ho studiato scienze religiose per capire di più ciò in cui credevo, mi sono sentito spinto a farlo, senza domandarmi il perché. Ed ora mi trovo a continuare a studiare perché non c’è occasione migliore dell’insegnamento per conoscere qualcosa: quando sei costretto a insegnare è la volta buona che ti metti a studiare!

Quale è oggi l'utilità e la bellezza dell'insegnamento della religione cattolica?

Utilità molta: come si fa a comprendere il passato, il presente e il futuro della società contemporanea senza saperne di più del cristianesimo, della sua cultura, della sua arte? Bellezza ancora di più: se fosse solo utile, non sarebbe bella, non sarebbe viva. La bellezza nasce dall’incontro con i ragazzi, che sono la cosa più “nuova” che esiste, e la bellezza spesso risiede proprio nella novità.


Lei da sempre provoca gli studenti al confronto, invitandoli a dare ragione delle loro posizioni, dei loro giudizi. Cosa constata da tutto ciò? Quali sono i bisogni e le esigenze, anche inconscie, dei giovani studenti?

I giovani desiderano essere accolti, ascoltati, amati. Questa davvero non è una novità. Non vogliono informazioni, ma formazione. Vogliono affidarsi a qualcuno di affidabile. Non ne trovano e quindi diventano timorosi, sospettosi, fragili. Vogliono anche dei “no”, fa parte della costruzione del rapporto e della crescita, di quella “affidabilità”, “credibilità” di cui sono alla ricerca. Sono ragazzi che hanno molte cose, che vivono nella società delle comunicazioni e delle immagini e quindi sanno molto cose (o presumono di saperle) e, paradossalmente, hanno una immaginazione depauperata. Pensano di sapere molto e non immaginano molto, non desiderano molto (a livello profondo), vivono la desertificazione del desiderio. Tutto questo li espone drammaticamente alla Noia, che rischia di divorarli. A fronte di tutto questo rispondono “a due livelli”: in superficie cercando sicurezze (spesso false), in profondità cercando la Gioia, qualcosa per cui valga la pena vivere. Se si accontentano delle “sicurezze” allora vivono come la vita come una serie di esperimenti, superficialmente, finendo per alimentare quella noia che li attanaglia e rendendo ancora più fragile la loro capacità e la loro fiducia nelle relazioni. Se sono stimolati a non accontentarsi, a non rassegnarsi, vincono la pigrizia che porta al cinismo e si abbandonano alla vita come avventura e vera esperienza, non esperimento. Lo stimolo spetta a me professore, a me genitore, a me operatore culturale e impegnato nelle comunicazioni, a me amico. Senza amicizia e senza relazioni non si costruisce niente, solo solitudine, fragilità, tristezza.

Per avvicinare gli studenti alla concretezza del fatto cristiano ha spesso portato ad esempio, tra gli altri, la vicenda del Signore degli Anelli. In cosa consiste tale raffronto?

Il Signore degli Anelli è un inno alla “compagnia”, all’amicizia, al vivere insieme, animati da gusto dell’avventura, saldi nel coraggio e nella fede nella Provvidenza. Molti ragazzi conoscono il romanzo ma non ne avvertono la trama cristiana che corre sottotraccia. Proprio per rispondere a quelle esigenze che sopra ho indicato, quelle domande che nascono dai ragazzi, provo a stimolare la loro immaginazione mostrandogli buona letteratura e buon cinema, attraverso opere d’arte che rivelano in controluce un bagaglio di valori e principi umani e cristiani che risveglino la “meraviglia” nell’animo del ragazzo. La meraviglia è un sentimento radicale, fondamentale nell’uomo, sin da bambino. Se si perde la capacità di meravigliarsi si intraprende un cammino duro, triste e solitario, arido. Lo diceva Aristotele (la filosofia nasce dalla meraviglia) e lo ricorda Chesterton: «il mondo non finirà per la fine delle meraviglie, ma della meraviglia».

Dinanzi ai giovani che spesso intendono la libertà "di" e "da", lei nelle sue lezioni parla e punta sulla libertà "per". Di cosa si tratta?

I ragazzi hanno appreso la lezione delle generazioni passate sull’importanza della libertà. Purtroppo spesso riducono la libertà a “libertinismo” o a mera auto-determinazione, la libertà “da” e la libertà “di”: niente costrizioni dall’esterno e autonomia assoluta verso qualsiasi azione. Voglio essere libero, lasciato libero di fare quello che sento di fare (questa è la versione “sentimentale” della libertà). Secondo me non basta, ma porta anzi al rischio dell’isolamento in se stessi. Per diventare davvero liberi bisogna amare, cioè servire, obbedire, a qualcosa, a qualcuno. Cioè bisogna investire, spendere la propria libertà “per” qualcuno. Così è nel rapporto di coppia: finché si prende dall’altro senza dare niente non può nascere un rapporto stabile, ma solo occasionale. Quando si comincia a dare, a dare se stessi, totalmente, all’altro, allora può nascere una relazione profonda, che dà forza, felicità, vera libertà. E’ paradossale ma è così: dando la propria vita per amore equivale a ricevere una vita nuova, in abbondanza. Qualcun altro lo ha detto prima e meglio di me, circa 2000 anni fa.

Quale è la risposta degli studenti al suo metodo didattico?

In genere molti si incuriosiscono a me e alle mie lezioni e molti mi riconoscono un alto grado di “libertà”, cioè di “laicità”, nel senso che cerco di non indottrinare nessuno ma stimolo tutti ad un confronto serio, serrato, leale. Io cerco di usare e di fare appello alla ragione, perché so che la fede, la mia e quella degli altri, è un dono di Dio, che non può essere forzato. In questo sono un convinto assertore di quanto dice il Papa: la fede non si impone ma si propone alla libertà dell’altro.

Ci dica la sua ricetta per non far morire l'ora di religione, dunque per valorizzarne concretezza ed efficacia.

Ripeto quanto detto all’inizio: vado a scuola per apprendere più che per studiare, facendo così mi diverto di più. Ai ragazzi interessa la persona del professore, più che le sue parole, la sua motivazione prima ancora della sua competenza (che pure esigono). Se un professore si diverte, si appassiona, è motivato, farà nascere passione e motivazione anche negli studenti. Quando mi rendo conto che mi sto annoiando, vedo subito di correre ai ripari e mi impegno verso la gioia, l’allegria. Spero solo di non perdere la capacità di rendermi conto; detto questo non c’è una vera ricetta, le cose belle e durature nascono dal “basso”, dall’apertura e l’accoglienza dell’altro, le mie lezioni nascono dagli studenti, sono loro i veri “maestri”. E’ insieme che bisogna camminare, impresa ardua e difficile, ma io amo solo le sfide difficili, quelle facili mi annoiano".

(Marco Fattorini)

fonte:http://www.ilsussidiario.net