sabato 21 novembre 2009


A chi dà fastidio il Crocifisso?


Mons, Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia ha rilasciato la seguente intervista.
R. - A me pare che si parta da un presupposto che, a mio avviso, è di una debolezza umanistica oltre che religiosa del tutto evidente. Anche perché la laicità non è l’assenza di simboli religiosi, semmai la capacità di accoglierli e di sostenerli. Di fronte al vuoto etico, morale, che spesso noi vediamo anche nei nostri ragazzi, pensare di venire in loro aiuto, come dire, facendo tabula rasa di tutto mi pare davvero miope, anche perché presuppone una concezione di una cultura che è libera solo nella misura in cui non ha nulla, o che ha solo ciò che resta sradicato da ogni storia, da ogni tradizione, da ogni patrimonio. Tanto più che le nostre piazze, le nostre strade sono stracolme di Crocefissi. Io non credo ci sia nessuno che pretenda di distruggere i simboli religiosi nelle piazze, nelle strade, nei crocicchi perché ledono la libertà di religione di qualcuno. Preferisco allora quella civiltà mediterranea che vedeva nelle città, e ancora oggi l’abbiamo, la presenza di simboli, di segni di altre religioni. Quando Paolo VI ebbe qualche difficoltà quando si trattò di costruire una moschea a Roma, disse: “E’ un grande segno di civiltà”.

D. - Mons. Paglia esposizione di un Crocefisso in una stanza, in una scuola pubblica può essere considerata un’imposizione?

R. - Io non vedrei questo. Credo che la grande battaglia che noi dobbiamo fare è che la Croce mostra, come dire, l’umiliazione da cui ancora oggi tanti giusti, tanti poveri vengono schiacciati: è un ricordo di cosa accade all’uomo quando la giustizia non viene rispettata e semmai qui emerge un valore di gratuità, quella gratuità di cui tutti abbiamo bisogno a qualsiasi fede apparteniamo. In questo senso, c’è una dimensione anche di peso culturale ed educativo che io credo sia davvero irresponsabile voler cancellare.

D. - Il fatto, eccellenza, che in precedenza c’erano stati altri ricorsi presso i tribunali italiani - rifiutati con l’idea che il Crocefisso non fosse solo un simbolo religioso, ma il simbolo di un’identità culturale - e il fatto che invece poi l’Europa abbia dato spazio a questa richiesta significa che, in futuro, nel più ampio contesto europeo verranno meno certe identità specifiche, che in Italia sono più radicate?

R. - Il Crocefisso è anche, ovviamente, un segno di un’identità. Ma, a mio avviso, è anche un segno di un’universalità di cui abbiamo bisogno: cioè, di un amore che non conosce confini, di un amore che è disposto a dare la propria vita anche per gli altri, persino per i propri nemici. Di questo abbiamo bisogno tutti, ecco perché io in qualche modo lo sosterrei. Mi sta stretta, troppo stretta la polemica condotta in questo modo, perché alla fine il problema è tutto ideologico e nient’affatto storico, concreto e culturale. Ed ecco perché, guardando in maniera ravvicinata, in Italia la cosa è stata abbondantemente superata senza che creasse problemi particolari.

2 commenti:

  1. La posizione della Corte di Strasburgo:
    "La presenza del crocifisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastische - si legge nella sentenza dei giudici di Strasburgo - potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso, che avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione". Tutto questo, proseguono, "potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose, o che sono atei".

    Ancora, la Corte "non è in grado di comprendere come l'esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione (europea dei diritti umani, ndr), un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana". "L'esposizione obbligatoria di un simbolo di una dataconfessione in luoghi che sono utilizzati dalle autorità pubbliche, e specialmente in classe, limita il diritto dei genitori di educare i loro figli in conformità con le proprie convinzioni - concludono i giudici della Corte europea dei diritti umani - e il diritto dei bambini di credere o non credere. La Corte, all'unanimità, ha stabilito che c'è stata una violazione dell'articolo 2 del Protocollo 1 insieme all'articolo 9 della Convenzione".
    fonte : Avvenire del 3 Novembre 2009

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  2. L'EROSIONE DEI SIMBOLI POSITIVI (e tale è il crocifisso), a prescindere dalla loro appartenenza, spegne sul nascere qualunque forma ed occasione di dialogo e spiana la strada a forme di intolleranza religiosa.

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