lunedì 23 novembre 2009

In God We Trust: quando la religione è un’arma…vincente.

 


Nell'America pluralista il presidente parla alla nazione invocando un unico Dio: ma qual è la "vera religione americana"?

Ogni giorno nel pianeta circolano milioni di biglietti da un dollaro: per comprare il New York Times, un hot dog o pagare un taxi a Panama City. In God We Trust. Chi di voi ricorda questa frase stampata a caratteri cubitali su quella banconota? E chi di voi non ha mai sentito un Presidente degli Stati Uniti pronunciare la frase ‘God bless America’? La politica americana mette in piazza ogni giorno la religione, i suoi valori e i suoi simboli.
Ma sapreste dire di quale religione si parla? Obama è battista, George W. Bush è metodista, suo padre evangelico. Tutti protestanti? No, Kennedy era cattolico. Eppure, parlano tutti di Dio.
Nell’America pluralista, figlia di immigrati e ricca di immigrati, la massima carica dello Stato parla a tutta la Nazione invocando un unico Dio.
Robert Bellah definisce tutto questo religione civile: credenze, simboli e rituali condivisi dalla maggior parte degli americani a prescindere dalla fede di ciascun individuo, da Washington a Obama. E’ come se nella varietà delle religioni, la religione protestante, il cattolicesimo e l’ebraismo abbiano contribuito a creare un comune sentire, che insieme a valori più ‘terreni’ come la responsabilità personale, il senso civico e la coesione della comunità creano una dimensione religiosa trasversale ai gruppi etnici e alle singole denominazioni religiose.
Se qualcuno di voi chiedesse in questo momento agli americani se credono nella religione civile, la stragrande maggioranza di loro negherà la possibilità di aderire a più confessioni contemporaneamente, e soprattutto negherà la possibilità di fare della politica la propria religione.
Ma se leggeste i testi dei discorsi dei Presidenti, o vedeste le mani giunte del pubblico alla convention democratica in cui Barack Obama ha accettato la candidatura alla presidenza, potreste dimostrare il contrario. Gli americani si incontrano nella pubblica piazza e in famiglia, con frequenza periodica, per celebrare eventi della storia nazionale e le persone che hanno dato vita all’ “esperimento americano”, uno tra tutti il Giorno del Ringraziamento. Gli americani dichiarano di credere in un sistema di valori come la libertà e la democrazia, condannando chi non li condivide, come i vecchi regimi comunisti o l’Iraq di Saddam. Questo sistema è istituzionalizzato in un complesso coerente di norme e regole, la Costituzione e le sentenze della Corte Suprema.
Ebbene, quale differenza con una religione?
Questa è la tradizione americana: religione e politica come sfere attive nella sfera pubblica, parti dell’identità del cittadino, che sia esso indiano, afroamericano, ispanico, asiatico. Una società plurale e pluralista che tradizionalmente trova in un comune credo le basi dell’agire politico.
Tradizione e pluralismo. Tradizione è pluralismo.
Il confronto con l’Italia dei giorni nostri viene spontaneo. Il dibattito più recente si è aperto intorno al crocifisso affisso nelle aule delle scuole pubbliche: ci si chiede se il cattolicesimo, per storia e tradizione impiantato nella cultura italiana, possa essere un simbolo anche per tutti i ‘nuovi’ cittadini immigrati, per i credenti in altre religioni, e perché no, per i non credenti.
E’ possibile ammettere che in una società plurale, in cui convivono cerimonie e culti religiosi diversi, il simbolo del cattolicesimo possa essere ancora valido, coesivo, identificativo? E se così non fosse, come mantenere la tradizione pur concedendo la piena libertà di culto ai credenti in altre religioni?
Forse la soluzione è non aver paura. La soluzione è fare del pluralismo, e del pluralismo religioso, una carta viva e attiva. La soluzione è non fare del diverso un pericolo, dello straniero un nemico.

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