sabato 26 dicembre 2009

CHI SI SBARAZZA DI DIO NEGA LA VERITA’ DI QUESTO ISTANTE

In un’intervista ad “Avvenire”, il filosofo tedesco Robert Spaemann affronta il rapporto tra fede e ragione. Dalle leggi naturali, che sono sempre l’occasione di uno stupore, al Creatore di cielo e terra: «L’unico che ci può salvare».

Dio ha a che fare con «lo spazio di verità» che l’uomo abita. Mentre oggi il predominio dello scientismo (non la scienza!) mette in oblio la domanda sul Creatore. Il filosofo tedesco Robert Spaemann rispolvera una sana apologetica per affermare che è razionale credere in Dio. Docente emerito alla Ludwig Maximilians Universität di Monaco, Spaemann affronta qui la questione del rapporto tra fede e ragione.
Nel volume La diceria immortale (Cantagalli) lei denuncia l’attuale «atmosfera ateistica». In che senso?
Ludwig Wittgenstein ha scritto: «Una ruota, le cui rotazioni non mettono in movimento nient’altro, non appartiene alla macchina». Così, per la maggioranza della gente la fede in Dio è diventata priva di conseguenze. La scienza naturale non permette la domanda su Dio. Questo non significa che gli scienziati non siano credenti in quanto persone. Non credente è la visione del mondo che chiamiamo scientismo. Essa riduce la realtà allo statuto di un oggetto possibile di scienza. Per esempio, la bellezza di un quadro o la verità di un’affermazione matematica sono ridotte a stati cerebrali. L’interiorità della realtà non è mai oggetto della scienza. Del resto, quest’ultima è nel giusto.
Dove sta l’errore, allora?
È errata l’opinione per cui si conoscerebbe l’interiorità di un essere se si conosce il correlativo materiale di questa interiorità. Wittgenstein scrive che questa è «la grande illusione moderna»: credere che le scienze ci spiegheranno il mondo. Infatti le stesse leggi naturali hanno bisogno di essere spiegate. Esse sono sempre l’occasione di uno stupore, come avvenne con Einstein. Il successo inaudito delle scienze moderne e della tecnica ha posto l’umanità in uno stato di ubriachezza. I progressi delle scienze non permettono un’attenzione sufficiente sul Donatore di tutti i doni. Tale attenzione appare una sorta di lusso che non possiamo più permetterci.
Lei chiede alla Chiesa più incisività sui temi escatologici. Ha scritto: «Il dogma cristiano potrebbe diventare il rifugio dell’umanità dell’uomo». Heidegger diceva che «solo un Dio ci può salvare». È lo stesso Dio?
Un Dio non ci può salvare, soprattutto dalla morte; può farlo solo il Dio unico, creatore di cielo e terra. Nella tradizione la fede in questo Dio è stata sostenuta dalla ragione. Oggi osserviamo l’opposto: la ragione ha cominciato a dubitare di se stessa. Già David Hume, il padre dell’empirismo, scriveva: «Noi non avanziamo un passo oltre noi stessi». Lo scientismo non comprende la ragione come l’organo della verità bensì quale strumento dell’adattamento, spiegabile con la teoria dell’evoluzione.
Nietzsche ha scritto che l’Illuminismo, con la sua volontà di servire la verità, si distrugge da solo se reclama come verità le proprie tesi. Ma una verità non relativa esisterà solo se ci sarà una prospettiva non relativa, ovvero se Dio esiste. Se Dio non esiste, non c’è verità. Questo vale anche per i concetti di libertà e dignità umana. Qualche decina di anni fa lo psicologo Burrhus Skinner ha scritto Oltre la libertà e la dignità. La scienza non conosce concetti simili, ovvero nozioni normative. Essa le comprende solo come oggetti di studio, non quali fonti di un obbligo per gli stessi scienziati. Solo se l’uomo è superiore alla scienza, cioè se è immagine di Dio, può parlare su di essa. Allora la dignità umana diventa qualcosa di diverso da un’illusione.
A Roma lei interverrà su «Il Dio della fede e della filosofia». Oggi spopolano i «nuovi atei» per i quali Dio è irrazionale. Come spiegare che credere in Dio è secondo ragione?
Nietzsche scriveva: «Noi non possiamo sbarazzarci di Dio finchè crediamo ancora nella grammatica». Perché? Perché noi uomini viviamo in uno spazio di verità. Il fatto che ora noi dialoghiamo partendo dal mio libro La diceria immortale è una verità eterna. Se non è un sogno che io parlo con lei, questo colloquio farà sempre parte della realtà. Esso appartiene al passato. Nessuno può annullare il passato, che è una presenza trascorsa. Il futuro è legato indissolubilmente alla presenza. Nessuna gioia vissuta sarà un giorno non sperimentata. Nessun dolore reale sarà un giorno non sofferto. Ma quale sorta di essere è l’essere del passato? Se non ci saranno uomini sulla terra che potranno ricordarsene e il nostro pianeta non esisterà più, noi non possiamo dire che il nostro colloquio non sia avvenuto. Non possiamo pensarlo. Dobbiamo pensare una coscienza assoluta in cui tutto quello che succede viene conservato. Chiamiamo Dio questa coscienza.

giovedì 24 dicembre 2009

Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

La verità è germogliata dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo

Svegliati, o uomo: per te Dio si è fatto uomo. «Svegliati, o tu che dormi, destati dai
morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5, 14). Per te, dico, Dio si è fatto uomo. Saresti
morto per sempre, se egli non fosse nato nel tempo. Non avrebbe liberato dal
peccato la tua natura, se non avesse assunto una natura simile a quella del
peccato. Una perpetua miseria ti avrebbe posseduto, se non fosse stata elargita
questa misericordia. Non avresti riavuto la vita, se egli non si fosse incontrato con
la tua stessa morte. Saresti venuto meno, se non ti avesse soccorso. Saresti perito,
se non fosse venuto. Prepariamoci a celebrare in letizia la venuta della nostra
salvezza, della nostra redenzione; a celebrare il giorno di festa in cui il grande ed
eterno giorno venne dal suo grande ed eterno giorno in questo nostro giorno
temporaneo così breve. Egli è diventato per noi giustizia, santificazione e
redenzione perché, come sta scritto, chi si vanta si vanti nel Signore (cfr. 1 Cor 1,
30-31). La verità è germogliata dalla terra (cfr. Sal 84, 12): nasce dalla Vergine
Cristo, che ha detto: Io sono la verità (cfr. Gv 14, 6). E la giustizia si è affacciata
dal cielo (cfr. Sal 84, 12). L'uomo che crede nel Cristo, nato per noi, non riceve la
salvezza da se stesso, ma da Dio. La verità è germogliata dalla terra, perché «il
Verbo si fece carne» (Gv 1, 14). E la giustizia si è affacciata dal cielo, perché «ogni
buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto» (Gc 1, 17). La verità è germogliata
dalla terra: la carne da Maria. E la giustizia si è affacciata dal cielo, perché l'uomo
non può ricevere nulla se non gli è stato dato dal cielo (cfr. 3, 27). «Giustificati per
la fede, noi siamo in pace con Dio» (Rm 5, 1) perché la giustizia e la pace si sono
baciate (cfr. Sal 84, 11) per il nostro Signore Gesù Cristo, perché la verità è
germogliata dalla terra (cfr. Sal 84, 12). Per mezzo di lui abbiamo l'accesso a
questa grazia in cui ci troviamo e di cui ci vantiamo nella speranza della gloria di
Dio (cfr. Rm 5, 2). Non dice della nostra gloria, ma della gloria di Dio, perché la
giustizia non ci venne da noi, ma si è affacciata dal cielo. Perciò colui che si gloria si
glori nel Signore, non in se stesso. Dal cielo, infatti per la nascita del Signore dalla
Vergine... si fece udire l'inno degli angeli: Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace sulla
terra agli uomini di buona volontà (cfr. Lc 2, 14). Come poté venire la pace sulla
terra, se non perché la verità è germogliata dalla terra, cioè Cristo è nato dalla
carne? Egli è la nostra pace, colui che di due popoli ne ha fatto uno solo (cfr. Ef 2,
14) perché fossimo uomini di buona volontà, legati dolcemente dal vincolo
dell'unità. Rallegriamoci dunque di questa grazia perché nostra gloria sia la
testimonianza della buona coscienza. Non ci gloriamo in noi stessi, ma nel Signore.
E' stato detto: «Sei mia gloria e sollevi il mio capo» (Sal 3, 4): e quale grazia di Dio
più grande ha potuto brillare a noi? Avendo un Figlio unigenito, Dio l'ha fatto figlio
dell'uomo, e così viceversa ha reso il figlio dell'uomo figlio di Dio. Cerca il merito, la
causa, la giustizia di questo, e vedi se trovi mai altro che grazia.

mercoledì 23 dicembre 2009

"Trovato neonato in una stalla - La polizia e i servizi sociali indagano"


BETLEMME, GIUDEA – L'allarme è scattato nelle prime ore del mattino, grazie alla segnalazione di un comune cittadino che aveva scoperto una famiglia  accampata in una stalla.
Al loro arrivo gli agenti di polizia, accompagnati da assistenti sociali, si sono trovati di fronte ad un neonato avvolto  in  uno scialle e depositato in una mangiatoia dalla madre, tale Maria H. di Nazareth, appena quattordicenne. Al tentativo della polizia e degli operatori sociali di far salire la madre e il bambino sui mezzi blindati delle forze dell'ordine, un uomo, successivamente identificato come Giuseppe H. di  Nazareth, ha opposto resistenza, spalleggiato da alcuni pastori e tre stranieri presenti sul posto. Sia Giuseppe H. che i tre stranieri, risultati sprovvisti di documenti di identificazione e permesso di soggiorno, sono stati tratti in arresto.continua

 

L’albero di Natale? Cristiano, non pagano
«Se oggi interroghiamo un cristiano o un non cristiano sull’origine dell’albero di Natale, nella stragrande maggioranza dei casi riceviamo la risposta che si tratta di un’antica usanza pagana. In effetti tale spiegazione non è del tutto errata. Tuttavia essa non rende giustizia alla situazione di fatto, poiché è vera solo in uno stadio iniziale, non per l’attuale abete decorato».
Così Oscar Cullmann (teologo luterano che fu «osservatore» al Vaticano II) in un passo del librettino All’origine della festa del Natale. Logico partire da questa insospettabile fonte per una «riabilitazione» cattolica dell’abete natalizio in un’epoca nella quale – complice un certo uso «polemico» del presepe – forse non risulta inutile sottolineare con più obiettività i chiaroscuri natalizi.

L’abete «pagano» o «laico», magari «celtico»? Vero, però parziale. Precisa infatti Cullmann: «Solo la primissima forma cristiana è in rapporto con i riti pagani: da un lato col primordiale culto degli alberi, dall’altro con l’antica celebrazione del solstizio d’inverno». In effetti, l’albero è uno dei simboli più ricchi di significati nella storia e nella mitologia di tutti i popoli: immagine naturale di grandiosità e di mistero venerata come immagine o sede degli dei, simbolo della rigenerazione periodica della vita (la latifoglia) ovvero dell’immortalità (il sempreverde), comunque della vita; «asse del mondo» che attraverso le radici fissate al suolo collega la terra al cielo cui protende le chiome (e viceversa unisce il cielo alla terra)...
Persino Joseph Ratzinger, in un testo del 1978, non se ne scandalizzava: «Quasi tutte le usanze prenatalizie hanno la loro radice in parole della Sacra Scrittura. Il popolo dei credenti ha, per così dire, tradotto la Scrittura in qualcosa di visibile... Gli alberi adorni del tempo di Natale non sono altro che il tentativo di tradurre in atto queste parole: il Signore è presente, così sapevano e credevano i nostri antenati; perciò gli alberi gli devono andare incontro, inchinarsi davanti a lui, diventare una lode per il loro Signore».

Dunque nessun problema se l’albero «cattolico» trovasse parentele remote col «frassino cosmico» Yggdrasil della mitologia nordica, dalle cui foglie scende l’idromele (liquido di vita) e ai cui piedi si radunano gli dei per decidere le sorti degli uomini; ovvero con il Kien Mu, l’albero dell’Universo cinese, che ordina il mondo tra sopra e sotto, regno inferiore, umano e celeste; o ancora con Asvattha, l’albero rovesciato dell’India, le cui radici convogliano dalle nubi verso il basso l’energia sacra (dottrina peraltro ripresa in certe leggende ebraiche e islamiche) e in seguito identificato con il Ficus sotto il quale Buddha ricevette l’Illuminazione; per finire con le Americhe, dove si trovano il simbolo azteco di Quetzalcoatl – un cubo aperto su cui crescono 4 grandi alberi cosmici – e l’albero del Paradiso, proprio della mitologia Maya, personificazione del dio della pioggia Tlaloc («Colui che fa germogliare»).
Del resto, dal fascino delle piante non sono certo immuni la Bibbia (a parte l’albero dell’Eden, si ricorda il salmo che canta «Il giusto fiorirà come la palma, si moltiplicherà come il cedro del Libano») né le sofisticate civiltà greca e romana. A Roma, per onorare Attis, era uso ornare con oggetti votivi – cembali, piatti, fiasche – l’abete sacro. In Grecia la medesima essenza era dedicata alla dea lunare Artemide e se ne sventolavano rami con una pigna in punta. L’abete, già: «albero della nascita» per l’antico Egitto, essenza consacrata al compleanno del Fanciullo Divino (il giorno dopo il solstizio d’inverno) nel calendario celtico... «Il legame fra l’albero e il solstizio – scriveva l’esperto Alfredo Cattabiani – è documentato anche nei Paesi scandinavi germanici, nei quali nel medioevo ci si recava nel bosco a tagliare un abete da decorare con ghirlande, uova dipinte, dolciumi».

Viene di qui il nostro albero di Natale? Forse, ma non solo: ancora Cullmann segnala altre coincidenze, come l’uso medievale di appendere ramoscelli in casa d’inverno, oppure la leggenda secondo cui le piante fiorirono alla nascita di Gesù... Tuttavia è lo stesso teologo a prendere le distanze: «II significato cristiano dell’albero di Natale non va fatto derivare dal solstizio d’inverno, che certo è anch’esso in questione, ma solo indirettamente. Esso ha un’origine propria e risale a una tradizione medievale e al suo significato religioso: le rappresentazioni dei "misteri", che nella Santa Notte mettevano in scena davanti al portale delle chiese e delle cattedrali la storia del peccato originale nel paradiso terrestre. Esse sono la vera culla del nostro albero di Natale con la sua decorazione simbolica».

In effetti, nel passato il 24 dicembre portava in calendario i «santi» Adamo ed Eva; era in seguito alla loro felix culpa che era stato inviato il Salvatore. Logico dunque, nei sagrati o anche nelle cattedrali, erigere un «albero del Paradiso» con tanto di mele appese a far da scenario alle sacre rappresentazioni natalizie. «Esso – ancora Cullmann – simboleggia un convincimento cristiano: il peccato dell’uomo viene espiato nella notte del 24 dicembre dall’ingresso di Cristo nel mondo». Una miniatura salisburghese, anno 1489, illustra il messaggio in modo chiarissimo: un albero, la cui chioma è folta di mele e ostie, ha appeso sulla sinistra un crocifisso e sulla destra un teschio; sotto il primo Maria coglie le ostie, presso il secondo Eva distribuisce le mele.

Circa 5 secoli fa, dunque, era già presente il simbolismo oggi surrogato dalle palline natalizie (inventate nel XIX secolo dai soffiatori di vetro dell’Alsazia e della Turingia) ed eventualmente dai biscotti. Ma è solo nel XVII secolo che l’abete – soprattutto in Germania – passa dalle piazze alle case e nel contempo s’arricchisce di altri ornamenti: rose di carta (il fiore dal «virgulto di Jesse»), lamine metalliche, dolci; un albero del genere è documentato nel 1605 a Strasburgo. Di lì a poco fu la luce: dapprima grazie a candeline (la prima notizia documentata in materia è del 1662 ad Hannover), poi con lumi elettrici; e siamo sempre a metà tra gli antichi culti del fuoco praticati nella buia stagione del solstizio e il significato teologico di Cristo luce del mondo.

In Italia l’albero di Natale giunge nell’Ottocento, come dimostra un’immaginetta in cui si vede dietro al Bambino Gesù un abete decorato con candele: soggetto peraltro certamente più raro di quello che raffigura lo stesso Neonato di Betlemme unito alla (o addirittura addormentato sulla) croce, a indicare una trasparente premonizione. Del resto, non sarà ancora un «albero» a diventare il simbolo della Passione? In questo senso, il recupero cristiano dell’abete natalizio compie intero il suo ciclo: infatti, secondo quanto volevano significare pure alcune leggende medievali per le quali la croce era fatta col legno del peccato originale e fu infissa nel cranio di Adamo sepolto sul Calvario, il Natale si unirebbe ancor di più alla Pasqua proprio grazie a una pianta. L’albero di Natale e il crocifisso potrebbero non essere poi così lontani.
Roberto Beretta
Da Avvenire 

domenica 20 dicembre 2009



Uno giorno molto triste per me e per tutti quelli che lo hanno conosciuto: è morto un amico, Pasquale, una persona che sapeva far sorridere tutti.
Sono certo che  saprà far sorridere lassù anche Dio.

lunedì 14 dicembre 2009


Soeur Marie Keyrouz

Suor Marie Keyrouz è nata a Deir El-Ahmar, nei pressi della città romana di Baalbek (Libano), è membro della Congregazione dei Basiliani, presidente e fondatrice dell'Istituto Internazionale di canto sacro: a Parigi ha conseguito un dottorato in musicologia e antropologia teologica alla Sorbona (1991), un diploma di Studi in Scienze Religiose a Saint Joseph University di Beirut.
Cerca di armonizzare le esigenze dell'arte con quelle del sacro.Maronita, incarna le venerabili tradizioni artistiche delle Chiese orientali armonizzandole con quelle occidentali


 

domenica 13 dicembre 2009

L’esigenza etica, di cui ogni persona ragionevole fa esperienza, può trovare spiegazione ultima prescindendo dall’affermazione di Dio?
Prima di proseguire devo sgomberare il campo da un grossolano equivoco che rischia di compromettere tutta la riflessione. Non intendo dire che solo chi ammette l’esistenza di Dio agisce onestamente, mentre gli atei sono sempre dei disonesti. La riflessione prescinde totalmente dal concreto comportamento delle persone. continua
Card. Caffarra: Relazione «Etica laica-etica religiosa» - Diocesi di Genova 
FARE POSTO


"Per me il Natale si riassume solo così: fare posto. Solo facendo posto dentro di noi - nella testa, nel cuore, nella vita - si può celebrare veramente questo giorno. Sono un missionario e da tanti anni emigrante. Insieme ai nostri emigranti che accompagno pastoralmente camminiamo tra tanti altri di differente nazionalità, cultura o religione. Ognuno è una storia diversa di accoglienza e di rifiuto.
Mi domando, a volte, se è possibile comprendere oggi il Natale senza farsi in qualche modo migrante... E questa domanda si fa gigantesca di fronte a un Dio nato in emigrazione, trasformatosi poco dopo in rifugiato, in un fuggiasco, in uno dei perseguitati della terra. Colui a cui tocca far posto alla paura, allo sradicamento, al rifiuto degli altri, come un marinaio in pieno tempesta senza punti di riferimento o di stabilità." continua... in Perfetta Letizia
Come nominare questo Dio oggi, come narrare di Lui comunicando questo Dio vivo all’uomo reale?" Nell’ottica cristiana "Dio è Colui che viene nel mondo e perciò si distingue da esso senza che questo escluda la possibilità di coglierlo come familiare”. Per parlare di Dio "si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso ad abilitare l’uomo a divenirgli familiare. La fede cristiana vive anche dell’esperienza di Dio che si è fatto conoscere e si è reso familiare". È necessario stabilire prima la familiarità con Dio perché Dio sia conosciuto. Allora "Dio è una scoperta, che insegna a vedere tutto con occhi nuovi".
Card. Angelo Scola
“Con Lui o senza di Lui cambia tutto”. Monsignor Rino Fisichella, Presidente della Pontifica Accademia per la vita e Rettore della Pontificia Università Lateranense, ha terminato la sua relazione con il sottotitolo del Convegno internazionale promosso dal Comitato per il progetto culturale della Cei. ... All'interno l'intervento integrale

"Se Dio manca, se si prescinde da Dio, se Dio è assente, manca la bussola per mostrare l’insieme di tutte le relazioni per trovare la strada, l’orientamento dove andare. Dio! Dobbiamo di nuovo portare in questo nostro mondo la realtà di Dio, farlo conoscere e farlo presente."Benedetto XVI

sabato 12 dicembre 2009

ENRICO MEDI (1911-1974)
«Oh voi misteriose galassie, voi mandate luce ma non intendete; voi mandate bagliori di bellezza ma bellezza non possedete; voi avete immensità di grandezza ma grandezza non calcolata. Io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Da voi io prendo la luce e ne faccio scienza, prendo il moto e ne fo sapienza, prendo lo sfavillio dei colori e ne fo poesia; io prendo voi oh stelle nelle mie mani e tremando nell'unità dell'essere mio vi alzo al di sopra di voi stesse e in preghiera vi porgo a quel Creatore che solo per mio mezzo voi stelle potete adorare»