venerdì 13 novembre 2009


Omosessuali non si nasce

Non esistono fattori genetici e/o ormonali che impongano ad una persona di agire necessariamente in modo omosessuale.
1) Provare degli impulsi non significa essere costretti ad assecondarli: sia un eterosessuale che un omosessuale sono liberi di non avere relazioni sessuali con un uomo o una donna verso cui sentono attrazione.
2) Quanto agli impulsi, come scrive, per es. J. Nicolosi (Omosessualità maschile, p. 71, cfr. bibliografia), che utilizza numerose ricerche di altri studiosi: «È scientificamente provato che i fattori genetici e ormonali non svolgono un ruolo determinante nello sviluppo dell’omosessualità”. Se ci fosse un gene dell’omosessualità i gemelli omozigoti dovrebbero comportarsi in modo identico, mentre invece ci sono casi di gemelli, uno dei quali è omosessuale, l’altro eterosessuale.
3) Inoltre, se i geni e gli ormoni determinassero in modo invincibile le nostre pulsioni, non sarebbe possibile cambiare le proprie pulsioni omosessuali in pulsioni eterosessuali, come invece dimostra la pratica psicoterapeutica, con numerosissimi esempi (ne parla R. Marchesini in questo dossier).
Non è vero che l’identità maschile/femminile è indotta dalla società

L’odierna teoria del «gender» (genere), (che ha un sua radice prossima in Rousseau ed una remota nello gnosticismo antico) afferma che la nostra identità psicologica maschile o femminile non è legata al sesso con cui nasciamo biologicamente, bensì è indotta dall’educazione e dalla cultura in cui ci troviamo a vivere, perciò ognuno di noi dovrebbe essere lasciato libero di scegliere se vivere e agire come uomo, anche se i suoi organi genitali sono femminili, e come donna, anche se i suoi organi genitali sono maschili.
Se questa visione fosse vera, basterebbe educare in modo assolutamente identico i bambini e le bambine per ottenere che essi scelgano a loro piacimento attività e ruoli maschili o femminili, a seconda dei gusti. Invece un simile modello educativo è stato applicato ed ha dimostrato il contrario. All’inizio del ‘900 fu attuato in alcuni kibbutz israeliani un esperimento, inteso ad educare in modo perfettamente identico ragazzi e ragazze e gli stessi sperimentatori hanno dovuto riconoscere il fallimento del loro tentativo. Infatti, a dispetto dei loro sforzi, i ragazzi sceglievano di occuparsi di macchine, compiti dirigenziali e altre tipiche attività maschile, mentre le ragazze mostravano un’inclinazione verso l’abbigliamento, la cosmesi, i lavori di assistenza, insomma verso le attività e le mansioni femminili (cfr. Manfred Spiro, Gender and culture: kibbutz women revisited, Schocken Books, New York 1980, pp. 92 ss).
E anche «bambini cresciuti […] come bambine da un’onnipotente madre femminilizzante […], amano in cuor loro le cose da ragazzi, anche se il loro comportamento non è proprio da ragazzi». Così come «una ragazza cresciuta con atteggiamenti sprezzanti nei confronti delle cose da donne e del ruolo femminile […] tuttavia può essere impressionata da altre ragazze e donne che irradiano femminilità» (J. Van den Aardweg, Omosessualità e speranza, cfr. bibliografia, p. 82).
Un altro esempio lo riporta R. Marchesini (cfr. www.ildomenicale.it/articolo.asp?id_articolo=330), che racconta la tragica vicenda di David Reimer, un bambino gemello omozigote, a cui fu chirurgicamente cambiato il sesso, perché il chirurgo voleva dimostrare che l’identità di genere è determinata dall’educazione ricevuta. I genitori vestivano ed educavano questo bambino come una bambina, gli attribuirono un nome femminile, in modo che credesse di essere una bambina e si comportasse in tal senso. Eppure David si muoveva e si comportava come un maschietto. Lo sperimentatore tentò in vari modi, anche con violenze psicologiche, di farlo comportare come una bambina, ma inutilmente. In seguito a David fu rivelata la terribile verità e, dopo alcuni anni, nel 2004, si è suicidato.

Fonte: /www.ircbrescia.it
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