mercoledì 25 febbraio 2009


Una lettura apprezzabile, (in prospettiva moderna) dei Patti Lateranensi di Galli Della Loggia Ernesto

Quando il Papa non fu più prigioniero - I Patti che posero fine alla Questione romana

«Non vi è mai stata, non vi è, e presumibilmente non vi sarà mai, la possibilità di separazione assoluta tra i due poteri in un Paese dell' Occidente europeo e in Italia in modo speciale. Non vi è mai stata e non vi sarà mai perché l' europeo non è divisibile. La Chiesa si può combattere; la Chiesa si può perseguitare; con la Chiesa si può patteggiare; ma la Chiesa non si può ignorare; è questo un dato di fatto che 19 secoli di storia confermano». Queste parole, pronunciate alla Costituente in occasione della discussione sui Patti Lateranensi da un illustre parlamentare cattolico, Stefano Jacini - antico esponente del modernismo, deputato popolare dichiarato decaduto per antifascismo, infine membro del Cln dell' Alta Italia - possono riassumere abbastanza bene il senso con cui oggi guardare a quel Trattato di cui sta per ricorrere l' ottantesimo anniversario il prossimo 11 febbraio. In realtà all' inizio - cioè subito dopo la presa di Roma nel 1870 e la fine del potere temporale del Papa che ne era seguito, apice dell' aspro scontro accesosi tra la Chiesa e il movimento liberal-nazionale italiano nel corso del Risorgimento - proprio la strada della separazione più o meno assoluta era stata quella che il neonato Regno d' Italia aveva deciso di battere. Lo aveva fatto attraverso la cosiddetta «legge delle guarentigie» (1871): le garanzie in questione erano per l' appunto quelle che in modo del tutto unilaterale l' Italia riconosceva al Pontefice dichiarandolo sottratto ad ogni sua giurisdizione, equiparando la sua persona a quella del re, assicurandogli il possesso indisturbato dei Palazzi Apostolici e di altri edifici e luoghi di Roma, riconoscendogli il diritto di legazione attiva e passiva, interdicendosi la possibilità d' intralciare in qualsiasi modo l' attività sia della Curia e della Santa Sede che del relativo personale ecclesiastico. L' Italia insomma, e sia pure con certi limiti, dichiarava l' organizzazione centrale della Chiesa di Roma, che pure aveva sede nella sua capitale, una sorta di corpo estraneo, un totalmente altro da sé. Anche se fondato su un solido impianto ideologico di stampo liberale, fatto sinceramente proprio da tanti protagonisti del Risorgimento, il separatismo che allora l' Italia adottò fu tuttavia in buona parte una scelta obbligata. Infatti, l' esitazione di Pio IX e dei suoi successori a rinunciare ufficialmente ad un' eredità storica plurisecolare, e dunque la loro pervicacia nel considerarsi vittime di una pura e semplice sopraffazione, non le lasciarono altra via. Per sessant' anni il Papa, insomma, preferì considerarsi «prigioniero» nel Vaticano anziché riconoscere il fatto compiuto addivenendo ad un qualche compromesso. La «questione romana» rimase così un problema aperto, anche se vissuto sempre meno drammaticamente da ambo le parti. Con il passare del tempo, peraltro, il mancato riconoscimento del nuovo regno da parte della Santa Sede finì per rappresentare non tanto un potenziale pericolo per la legittimazione internazionale del Paese, come invece si era assai temuto all' inizio da parte italiana, quanto piuttosto la causa permanente di un rapporto difficile tra il nuovo Stato e molti suoi cittadini di fede cattolica. Quelli, per esempio, che attenendosi alle disposizioni della Chiesa non partecipavano per protesta alle elezioni politiche. Fu questo un ulteriore aspetto del caso singolare che aveva visto l' Italia unico Paese d' Europa conseguire la propria indipendenza nazionale in contrasto con la religione della stragrande maggioranza dei suoi abitanti. Il nodo, come si sa, si sciolse solo con il fascismo, nel 1929. Non a caso, dal momento che solo la dittatura mussoliniana era in grado di concedere alla Santa Sede ciò che a qualunque altro governo inserito nella tradizione liberale italiana sarebbe stato invece assai difficile concedere. Vale a dire, oltre al Trattato del Laterano vero e proprio - con la soluzione (già peraltro messa a punto in molte trattative precedenti) della questione della sovranità territoriale grazie all' «invenzione» dello Stato della Città del Vaticano - anche la garanzia politica aggiuntiva, il «necessario complemento» di un Concordato, come si legge nella premessa di questo. Un Concordato che, benché sempre modificabile con il consenso delle parti (infatti è stato poi modificato nel 1984), almeno nella sua primitiva versione del ' 29 era oltremodo comprensivo delle ragioni della Chiesa cattolica, a scapito vuoi dell' autorità dello Stato vuoi dell' eguaglianza dei cittadini. Proprio l' accettazione di un Concordato siffatto era tuttavia la prova, agli occhi della Santa Sede che l' Italia ufficiale aveva rotto inequivocabilmente con il passato e che, come ebbe a dire Pio XI con mal riposta enfasi polemica, essa era ormai intenzionata a «regolare debitamente le (sue) condizioni religiose per sì lunga stagione manomesse, sovvertite, devastate in una successione di Governi settari od ubbidienti e ligi ai nemici della Chiesa, anche quando forse nemici essi medesimi non erano». In realtà, a partire dal 1929, Trattato e Concordato hanno cominciato a vivere una vita largamente autonoma, dal momento che la costituzione della Città del Vaticano si è dimostrata una soluzione di per sé felice e vitale, dotata di una forza e validità sue proprie. Si può anzi dire, a ben pensarci, che quella soluzione ha rappresentato un grande vittoria postuma del Risorgimento, dimostrando nel modo più chiaro che la fine del potere temporale dei Papi, lungi dall' impedire alla Chiesa di svolgere il suo magistero universale, è stata la premessa, viceversa, per un esercizio di tale missione ancora più vigoroso, vasto ed influente. Tutto ciò, come dicevo, indipendentemente poi dall' esistenza tra la Chiesa e lo Stato italiano di un Concordato. Ormai, tra l' altro, la ragione d' essere di questo non può più essere fatta risalire all' antico contenzioso tra l' Italia laica e l' Italia clericale degli anni del Risorgimento né può più consistere in qualche sogno di «restaurazione cristiana della società» come quello che pure sognava La Civiltà Cattolica all' indomani dell' 11 febbraio. Esso risponde palesemente ad altri motivi, ad altri sentimenti pubblici. Primo fra tutti al superamento del liberalismo ottocentesco per quanto riguarda il riconoscimento del carattere istituzionale della Chiesa. Finite le antiche dispute, e ammaestrato dalle sanguinose pretese totalitarie del Novecento, oggi lo Stato democratico-costituzionale può tranquillamente ammettere anche al proprio interno l' esistenza di altri ordinamenti originari con cui stabilire accordi e intese. E può farlo senza che debba necessariamente scapitarne in alcun modo né il confronto e magari anche lo scontro tra le idee, né l' irrinunciabile libertà per chiunque di credere o non credere. Ma ancor prima di ciò vi è un debito che ogni Paese ha con la propria storia. Quella italiana appare troppo inestricabilmente intrecciata alla vicenda del Cristianesimo e della Chiesa romana perché sia realmente plausibile immaginare un reciproco disinteresse, una reale indifferenza dell' una rispetto all' altra all' insegna dell' unilateralità. Alla fine, nella sua essenza e al di là di ogni possibile, anche necessaria, disputa sui suoi contenuti, il Concordato non è che la presa d' atto di questo dato. L' intesa I Patti Lateranensi includevano: un Trattato, con cui era riconosciuta alla Santa Sede la sovranità sulla Città del Vaticano; un Concordato per regolare i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica (matrimonio, ora di religione, enti ecclesiastici etc...) e una convenzione finanziaria Parole famose La frase di Pio XI sull' uomo della Provvidenza Il 13 febbraio 1929, ricevendo i professori e gli allievi dell' università del Sacro Cuore, Pio XI parlò a lungo dei Patti Lateranensi e pronunciò la controversa frase: «E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti, tutte quelle leggi diciamo, e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi».
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(6 febbraio 2009) - Corriere della Sera

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